14 ottobre 2021 Allure Miriam Mangieri

Negli ultimi anni il mondo della cosmetica biologica ha visto crescere sempre di più il suo fatturato. Da qui la decisione di molte aziende di dedicare intere linee a prodotti naturali o biologici. Nell’Unione Europea esiste una legislazione completa del settore (Reg. CE n.1223/2009), che regola e definisce i cosmetici e i loro ingredienti, mentre manca una normativa per quelli naturali e biologici. Ciò impedisce ai consumatori di orientarsi con facilità ed effettuare acquisti consapevoli, per scegliere i prodotti giusti, valutando le certificazioni citate in etichetta. Allure ne parla con Miriam Mangieri, Associate della Jacobacci & Partners.

Una domanda in crescita

Il termine green è ormai entrato nel nostro vocabolario come sinonimo di ecosostenibile e salutare. La green beauty si riferisce a prodotti naturali e sostenibili, rispettosi non solo della salute dei consumatori, ma anche dell’ambiente, realizzati e confezionati in modo etico, con packaging biodegradabili o riciclabili. Nelle loro formulazioni si prediligono fitoestratti, oli vegetali e essenziali non trasformati chimicamente, nonché ingredienti di origine naturale sottoposti a procedimenti come fermentazione, idratazione e idrogenazione. Inoltre circa la metà delle 8mila sostanze autorizzate per la produzione di cosmetici tradizionali, compresi coloranti e additivi, non può essere utilizzata nei prodotti green. Il consumatore che li acquista dimostra dunque di essere attento non solo al cosmetico e alle sue qualità, ma anche ai processi produttivi. Dunque la preferenza verso questa tipologia di prodotti nella routine quotidiana permette un minor impatto sull’ambiente, diminuendo l’inquinamento e l’immissione nei corsi d’acqua di sostanze tossiche e inquinanti, come le microplastiche di molti scrub ed esfolianti. Ancora: i citati ingredienti hanno meno probabilità di causare irritazioni cutanee o reazioni allergiche. Queste alcune delle ragioni responsabili della crescita della domanda green: Cosmetica Italia stima che il fatturato di questo comparto rappresenti circa il 15% dell’intero settore beauty. Nello specifico, tra le diverse categorie di prodotti, quelli per capelli e cuoio capelluto formano il 33,1% del giro d’affari dei cosmetici a connotazione naturale e sostenibile, seguiti dai prodotti per la cura della pelle (30,6%) e dal make-up (23,2%).

Le lacune normative

Nonostante la dimensione commerciale che assume la green beauty, manca una disciplina giuridica specifica. La normativa di riferimento nel settore è il Regolamento CE n.1223/2009 sui prodotti cosmetici.

L’articolo 2 ne fornisce la seguente definizione: “Ai fini del presente regolamento si intende per: a) “prodotto cosmetico”: qualsiasi sostanza o miscela destinata a essere applicata sulle superfici esterne del corpo umano oppure sui denti e le mucose della bocca allo scopo esclusivamente o prevalentemente di pulirli, profumarli, modificarne l’aspetto, proteggerli, mantenerli in buono stato o correggere gli odori corporei”. Tale norma dunque non fornisce una definizione di cosmetici green, né si pronuncia in merito alla concentrazione dei diversi ingredienti, che ne permettano appunto la definizione di naturale”. All’articolo 14 viene invece fornito un elenco delle sostanze che i cosmetici non possono contenere: quelle vietate (dettagliate all’allegato II) e soggette a restrizioni (dettagliate all’allegato III), coloranti, conservanti e filtri Uv. Così gli attivi devono essere indicati in base alla percentuale rispetto al peso complessivo del prodotto: quindi quello indicato per primo rappresenta la quota maggiore del prodotto. Infine le sostanze che compongono l’1% del peso totale non devono essere necessariamente menzionate poiché non previsto dalla normativa. Una percentuale che potrebbe includere, senza che ve ne sia evidenza, sostanze non naturali, come addensanti o emulsionanti.

Come tutelare, dunque, i consumatori che vogliano acquistare un cosmetico naturale? Per fare chiarezza sul tema è intervenuta l’International Organization for Standardization (ISO), che definisce le norme tecniche da rispettare per risultare conforme a specifici parametri di valutazione. In particolare l’Iso 16128 “Guidelines on technical definitions and criteria for natural and organic cosmetic ingredients and products” è stata pubblicata per creare un riferimento internazionale per le aziende che vogliono produrre cosmetici biologici e naturali. Questa fornisce definizioni tecniche e adotta criteri quantitativi per indicare il contenuto in componenti naturali o biologici di qualsiasi cosmetico. La prima parte dell’Iso è dedicata alla definizione degli ingredienti e ai criteri tecnici che consentono di considerarli naturali, derivati naturali, biologici o derivati biologici.

La seconda si riferisce invece ai metodi per esplicitare gli indici di naturale e biologico degli ingredienti, da cui poi deriveranno i relativi conteggi del prodotto finito. In realtà l’Iso 16128 non definisce nello specifico quali sostanze siano ammesse nei cosmetici naturali o biologici e i loro contenuti minimi nel prodotto finito. Occorre peraltro rimarcare come l’Iso non sia una legge, ma preveda delle linee guida e pertanto l’adesione alla stessa rivesta carattere volontario.

Il marchio di certificazione

In questo scenario, nel quale manca una disciplina giuridica unitaria, la priorità è quella di tutelare il consumatore finale, che potrebbe essere facilmente indotto in errore acquistando prodotti che, sebbene rechino in etichetta claim quali “naturale”, “biologico”, “eco”, possano in realtà contenere sostanze potenzialmente dannose. Gli utenti si trovano di fronte a una grande varietà di dichiarazioni concernenti la funzione, il contenuto e gli effetti dei prodotti cosmetici ed è importante garantire che tali informazioni siano “utili, comprensibili e affidabili e consentano loro di prendere decisioni informate e di scegliere i prodotti più adatti alle proprie esigenze e aspettative” (così recita il regolamento Ue n. 655/2013 che stabilisce criteri comuni per la giustificazione delle dichiarazioni utilizzate in relazione ai cosmetici). Chiarezza e trasparenza sono dunque le parole chiave per permettere ai consumatori di orientarsi nell’acquisto. Ma come offrire garanzie agli utenti in merito alla qualità e provenienza degli ingredienti cosmetici? Uno strumento importante, idoneo allo scopo, è il marchio di certificazione. Tramite questo istituto giuridico si certificano determinate caratteristiche di prodotti o servizi, quali la loro qualità o la loro natura, secondo un regolamento ad hoc. Nel settore cosmetico, attraverso l’utilizzo di marchi di certificazione riconosciuti, le aziende offrono al consumatore garanzie in merito alla selezione delle materie prime, alla provenienza degli ingredienti e all’assenza di sostanze dannose o tossiche, permettendogli di orientarsi tra i diversi prodotti in commercio. La norma di riferimento è l’articolo 11-bis del Codice di proprietà industriale: “Le persone fisiche o giuridiche, tra cui istituzioni, autorità e organismi accreditati ai sensi della vigente normativa in materia di certificazione, a garantire l’origine, la natura o la qualità di determinati prodotti o servizi, possono ottenere la registrazione per appositi marchi come marchi di certificazione, a condizione che non svolgano un’attività che comporta la fornitura di prodotti o servizi del tipo certificato”.

Analoga previsione è contenuta anche nel regolamento sul marchio dell’Unione Europea, art.83 comma 1, con la differenza che la disciplina Ue, rispetto a quella italiana, non permette di certificare la provenienza geografica dei prodotti. Come si evince dalla lettura della norma, il titolare del marchio di certificazione può essere una persona fisica o giuridica, un’istituzione o autorità e organismi di diritto pubblico, ma non può gestire un’attività che comporti la fornitura di prodotti e servizi del tipo certificato. Deve dunque trattarsi di un soggetto indipendente e neutrale rispetto ai fabbricanti dei prodotti che certifica. Gli enti certificatori italiani sono ICEA (Istituto per la Certificazione Etica e Ambientale), CCPB (Consorzio per il Controllo dei Prodotti Biologici) e AIAB (Associazione dell’Agricoltura Biologica).

Lo standard Cosmos

Dalla cooperazione e dall’impegno profuso dagli enti certificatori di diverse nazioni europee, quali BDIH, Cosmebio ed Ecocert, Icea e Soil Association, è nata la fondazione Cosmos AISBL, una realtà internazionale senza scopo di lucro, che ha la finalità di stabilire i requisiti comuni e le definizioni per i cosmetici biologici e/o naturali.

Si è giunti così alla creazione di un unico standard europeo per la certificazione dei cosmetici biologici: Cosmos. Tra le sue regole fondamentali spiccano la promozione di prodotti da agricoltura biologica nel rispetto della biodiversità, l’utilizzo di risorse naturali in modo responsabile ed ecocompatibile, l’impiego di lavorazioni e produzioni clean, ossia rispettose della salute umana e dell’ambiente.

Le garanzie legate a queste certificazioni sono l’assenza di ingredienti Ogm o di derivazione chimica controversa, nonché di parabeni, ftalati, coloranti e profumi sintetici. In particolare, Cosmos offre due loghi per i cosmetici: Cosmos Organic o Cosmos Natural. Il primo può essere apposto su prodotti conformi allo standard Cosmos e che contengono le percentuali richieste di ingredienti biologici come previsto nello standard.

Il marchio Cosmos Natural può, invece, essere attribuito ai prodotti conformi allo standard Cosmos, ma che non soddisfano le minime percentuali di biologico richieste. Tali loghi, in concreto, compariranno sul prodotto sempre sotto quello dell’ente di certificazione o associazione responsabile. Per esempio, nel caso in cui l’ente certificatore sia Icea i loghi che il consumatore potrà trovare in etichetta saranno i seguenti:

                         

Verso una regolamentazione completa

L’analisi condotta mostra un panorama normativo di riferimento lacunoso ed evidenzia come sarebbe consigliabile e opportuno un intervento del legislatore, al fine di creare un quadro giuridico di riferimento chiaro e uniforme, che possa essere recepito e applicato dai singoli Stati. Ciò permetterebbe di evitare distorsioni e omologare i diversi standard oggi esistenti, tutelando al meglio i consumatori e guidando le loro scelte d’acquisto. A oggi, infatti, gli standard di certificazione applicabili al settore sono frutto di regolamentazioni private. Pertanto si spera che, in ragione della dimensione del fenomeno, si possa presto elaborare un testo giuridico completo dedicato ai cosmetici green. Finché questo non accadrà, è bene non farsi ingannare dai claim dei prodotti e prestare attenzione alla lettura dell’INCI (International Nomenclature of Cosmetic Ingredients) ossia l’elenco delle sostanze che compongono il cosmetico.

Inoltre, imparare a riconoscere i loghi degli enti certificatori permetterà di individuare i prodotti certificati e garantiti, potendo così avere immediate informazioni sulla qualità e l’origine delle sostanze impiegate nel loro processo produttivo.