24 novembre 2021 Technofashion Luca Mariani

I marchi di certificazione sono apposti su prodotti di cui un ente certificatore garantisce determinate proprietà in relazione al materiale, al procedimento di fabbricazione, alla qualità, alla precisione o ad altre caratteristiche. Una delle possibili applicazioni è quella di garantire che i prodotti provengano da un processo industriale ecosostenibile.

Il vento del cambiamento climatico

Già prima del corona virus, dei tamponi, delle quarantene e dei vaccini, il vento del cambiamento climatico soffiava nelle vele dei giornalisti, riempiva le pagine di libri e giornali, sosteneva generosamente l’industria televisiva e quella dei social media. Poi questo argomento si è inabissato, sommerso dalle onde della pandemia globale, latente ma non inesistente. Ora che persino il coronavirus risulta monotono e ridondante, il surriscaldamento climatico torna in superficie e ci fa boccheggiare.

Non è un segreto che l’industria tessile è un settore ad elevato impatto ambientale, infatti, si stima che la produzione del cotone impieghi il 25% di tutti gli insetticidi usati nel mondo, che gli effluenti industriali legati alla tintura e alla lavorazione dei tessuti siano responsabili per un quinto dell'inquinamento idrico e che l’industria dell'abbigliamento e delle calzature emetta l’8% circa dei gas serra generati a livello globale.

Al giorno d’oggi, i consumatori sono sempre più consapevoli del fatto che le loro scelte d’acquisto hanno delle conseguenze a livello sociale ed ambientale. Allo stesso tempo, sono consci del fatto che l’inquinamento ambientale ha effetti negativi sul clima terrestre e sull’ecosistema planetario, riducendo la qualità della vita di tutta la popolazione mondiale. 

Tre quarti dei consumatori affermano di ritenere importante la moda sostenibile. Giustamente; non vogliono indossare jeans prodotti da persone che lavorano turni di 16 ore e che guadagnano pochi centesimi al giorno. Né vogliono una maglietta tinta con sostanze chimiche tossiche. Recenti studi dimostrano che le nuove generazioni – ovvero il 74% dei Millennials ed il 62% della Generazione Z – sono disposte a pagare dei sovrapprezzi pur di consumare dei prodotti ecosostenibili.

La speranza di salvare il pianeta deve essere alimentata dai consumatori, così come dall’industria. Oggi esiste uno nuovo e formidabile strumento per chi vuole adottare un metodo di produzione ambientalista e darne atto ai potenziali acquirenti: il marchio di certificazione. 

Notizie utili sul marchio di certificazione

Per convincere i clienti più attenti ed esigenti non è sufficiente riadattare i classici marchi d’impresa, aggiungendo espressioni come “verde”, “naturale”, “ecologicoet similia, che si possono prestare ad ambigue interpretazioni. Giustamente i consumatori cercano maggiori rassicurazioni sulla qualità e, dunque, sulla eco-sostenibilità dei prodotti proposti in vendita; rassicurazioni che sono sicuri di trovare nei controlli e nelle autenticazioni di enti certificatori specializzati.

Numerosi Paesi dell’Unione Europea, Italia inclusa, oggi contemplano l’istituto giuridico del marchio di certificazione: un peculiare tipo di marchio che viene usato da una pluralità di imprese – in congiunzione con i loro marchi individuali – per attestare l’impiego di determinati standard produttivi. La sua funzione non è quella di comunicare al consumatore chi ha prodotto l’articolo contrassegnato, ma di fornire informazioni su determinate caratteristiche attribuibili a quel particolare articolo. 

I marchi di certificazione si distinguono dai classici marchi d’impresa, per la loro funzione, ma anche per alcuni aspetti più formali. In particolare, il titolare di un marchio di certificazione deve fornire un regolamento d'uso che descriva tra l’altro:

  • Le categorie di prodotti o servizi interessate.
  • Le caratteristiche oggetto di certificazione (tra queste possiamo trovare, ad esempio: il materiale, il procedimento di fabbricazione o di prestazione, la qualità o la precisione).
  • Le condizioni d’uso del marchio di certificazione, comprese le sanzioni per i soggetti che violano le norme previste nel regolamento d’uso.
  • Le persone (fisiche o giuridiche) autorizzate ad usare il marchio di certificazione.
  • Le modalità di verifica delle caratteristiche e di sorveglianza da parte dell’organismo di certificazione.

È da sottolineare il fatto che il titolare di un marchio di certificazione (che può essere una persona fisica o giuridica, un’istituzione o un organismo di diritto pubblico, che assume le vesti di ente certificatore) non fornisce beni e servizi certificati, ma si limita a controllare le imprese che lo fanno e a verificare che usino il marchio correttamente.

Il marchio di certificazione e lo sviluppo sostenibile

Sono innumerevoli le possibili applicazioni di un istituto giuridico di questo genere e un ambito dove può avere un impatto notevole è quello dello sviluppo sostenibile. Si immagini, per esempio, un sistema in cui le autorità registrano e gestiscono un numero di marchi di certificazione per garantire i prodotti creati con procedimenti ecosostenibili. 

Questa fantasia sta diventando realtà in Germania, dove troviamo un esempio di uso virtuoso dei marchi di certificazione. Ad esempio, il “Grüner Knopf” o “Green Button” è stato introdotto dal governo tedesco – più esattamente dalla Deutsche Gesellschaft für Internationale Zusammenarbeit GmbH – per autenticare la sostenibilità sociale ed ambientale dei prodotti tessili. Esso nasce come un mezzo per fare fronte alle criticità dell’inquinamento, dello sfruttamento del lavoro e agli sprechi connessi all’industria tessile. 

Dagli studi effettuati, infatti, si è rilevato che in media un consumatore tedesco acquista 60 capi di vestiario all'anno e, a livello globale, ogni anno vengono acquistati 80 miliardi di capi. Ciascuno di tali capi di vestiario in media è utilizzato 4 volte in tutto il suo ciclo di vita, mentre il 20% del totale non viene mai indossato.

Tutti coloro che mirano ad acquistare vestiti sostenibili dal punto di vista sociale e ambientale possono consultare la lista di fashion brands che hanno adottato il Green Button oppure assicurarsi che i prodotti acquistati nei centri commerciali portino tale marchio, generalmente cucito come una normale etichetta direttamente sul prodotto.

L’obiettivo del marchio “GRÜNER KNOPF” o “GREEN BUTTON” è, quindi, quello di certificare la trasparenza della filiera, garantendo che i capi d’abbigliamento e la biancheria per la casa siano tinti con processi rispettosi dell'ambiente e in modo equo.

Tra i parametri di certificazione contemplati si contano: 

  • 20 requisiti di due diligence, basati su principi guida stabiliti dall’OCSE e finalizzati a verificare le pratiche commerciali dell'intera azienda. 
  • 26 requisiti di prodotto, in parte demandati ad altri marchi di certificazione preesistenti (ad esempio, OEKO-TEX), per verificare le fasi di produzione come taglio, cucito, sbiancamento e tintura. Ad oggi, il Green Button purtroppo non copre ancora l'intera filiera, ma è prevista l'espansione a tutta la catena di approvvigionamento (incluse le fasi di creazione di materiali grezzi e fibre, filatura e tessitura).

Conclusioni

Mentre il coronavirus può essere prevenuto dai vaccini e i suoi effetti mitigati dalle cure ospedaliere, non è lo stesso per il cambiamento climatico, per il quale non c’è una soluzione diretta ed inequivocabile. Il problema deve rientrare nelle agende dei capi stato e dei governi, per trovare soluzioni di carattere politico e giuridico. Tra gli istituti giuridici che possono aiutare una svolta ecologista c’è anche quello dei marchi di certificazione, che possono indirizzare i consumatori verso merci prodotte nel rispetto dell’ambiente e, sempre più, stimolare l’industria ad un cambiamento di direzione e imboccare la strada della sostenibilità.

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