10 luglio 2020 Allure Miriam Mangieri

Una crisi sanitaria, economica e sociale definita come la più grave dal dopoguerra. Una pandemia che ha investito indistintamente tutti i settori tra cui quello del beauty e ha imposto un cambio delle abitudini di consumo, nonché delle strategie produttive e di marketing delle aziende per far fronte al calo congiunto. Una svolta necessaria che costituisce il punto da cui ripartire. Allure ne parla con la dott.ssa Miriam Mangieri, Associate, Jacobacci & Partners.

Coronavirus e proprietà industriale: i marchi depositati durante la Pandemia

Per far fronte all’emergenza Coronavirus molte aziende hanno riconvertito la loro produzione ed immesso sul mercato prodotti volti a contrastare gli effetti della diffusione del virus. Sono infatti numerose le società italiane ed estere che si sono dedicate alla produzione di DPI (dispositivi di protezione individuale) come mascherine e guanti, nonché lozioni e saponi igienizzanti. Non sono mancate le donazioni effettuate da colossi del settore beauty e le iniziative portate avanti da molte realtà italiane che hanno fornito il loro sostegno al Paese in un momento di difficoltà.

Nel corso dell’emergenza sanitaria sono sorte nuove esigenze ed abitudini di consumo, destinate a durare anche nella fase post-Covid, che hanno portato le aziende a depositare domande di registrazione in relazione al lancio sul mercato di nuovi prodotti. Particolare è la tendenza riscontrata tramite consultazione delle banche dati dei marchi italiani e dell’Unione Europea da cui è emerso che, a partire dal 1° marzo 2020 ad oggi, sono state depositate decine di domande di registrazione contenenti la parola “Covid-19” o “Coronavirus” in relazione alle più disparate classi merceologiche.

Si tratta di domande non riferite unicamente al settore medico (classe 44) o a dispositivi medici (classe 10), ma anche a prodotti per l’igiene personale e la cura della persona (classe 3) e a soluzioni disinfettanti (classe 5). Tra di esse citiamo ad esempio “Coronavirus killer”, “Covid19Pass”, “Fight Covid 19”.

È importante sottolineare come, ad oggi, nessuna di queste domande risulti ancora concessa, essendo tuttora in corso l’esame da parte dei rispettivi uffici marchi.

Un marchio, per essere validamente registrato, deve possedere i requisiti della novità, capacità distintiva e liceità. Pertanto, marchi quali “Coronavirus” o “Covid-19” verranno, con molta probabilità, rifiutati in quanto non idonei a contraddistinguere una fonte imprenditoriale, trattandosi di nomi scientifici entrati ormai nel linguaggio comune.

Riferendoci nello specifico alla normativa italiana, ed in particolare al Codice di Proprietà Industriale (cpi), l’UIBM (Ufficio italiano brevetti e marchi) potrebbe rifiutare la registrazione dei suddetti segni in ragione della carenza di capacità distintiva (art. 13 cpi), nonchè eventualmente sulla base dell’art. 14 comma 1 cpi che vieta la registrazione dei segni contrari all’ordine pubblico e al buon costume.

Analogo fenomeno si è verificato anche all’estero, come in Cina, Paese che prima dell’Italia ha registrato una grave diffusione del virus. Proprio in Cina, infatti, sono state depositate più di 400 domande relative a marchi contenenti le parole “Covid-19” o “Coronavirus”. È stato frequente anche il deposito di marchi aventi il nome di ospedali costruiti in occasione dell’emergenza sanitaria o dei medici cinesi che, per primi, hanno scoperto il virus. Tra essi, ad esempio, il Dr. Li Wenliang (李文亮).

È interessante notare come tutte le domande di registrazione, rientranti nelle categorie sopramenzionate, siano state oggetto di rifiuto da parte dell’Ufficio marchi cinese in base all’art. 10.1.8. della legge marchi locale che vieta la registrazione di segni che possano danneggiare l’etica, i costumi sociali o avere un’influenza moralmente dannosa. Il fine è stato dunque di sanzionare il comportamento di quanti hanno tentato di trarre profitto trasformando i naming legati alla Pandemia in delle privative da poter sfruttare commercialmente, mentre la popolazione cinese si trovava ad attraversare un momento di grave emergenza.

Vale la pena sottolineare come l’ufficio marchi cinese, oltre a rifiutare le domande di registrazione, abbia inflitto delle sanzioni di natura pecuniaria - nella misura massima di CNY 100,000 - a carico degli studi di proprietà intellettuale che abbiano depositato, per conto dei loro clienti, i marchi sopracitati.

Strategie di protezione alla luce del mutato contesto socio-economico

Il Coronavirus, avendo mutato le abitudini di consumo, ha inoltre determinato la nascita di nuove esigenze in tema di tutela dei processi aziendali, dei prodotti e dei loro segni distintivi.

La prima evidente conseguenza dell’emergenza sanitaria e del lockdown è stata quella di un notevole incremento dell’e-commerce, tendenza che si è potuta apprezzare anche nel settore beauty. Tramite diversi studi di mercato, realizzati nel periodo marzo-maggio 2020, è emerso infatti che il 77% degli acquisti era da riferirsi ad utenti nuovi al mondo dell’e-commerce.

Lo shopping online ha dunque conquistato una nuova parte di pubblico che ha utilizzato il web come unico canale per poter acquistare prodotti diversi da quelli disponibili nei pochi negozi autorizzati a restare aperti.

In particolare, il settore del beauty, nonostante un generale calo delle vendite, avvertito soprattutto con riferimento al comparto cosmetico, ha visto crescere la domanda di prodotti per la cura del corpo, in linea con l’esigenza di igienizzare la cute e idratarla a seguito del prolungato uso dei DPI. In questo contesto, le aziende hanno riscontrato l’esigenza di rafforzare la tutela dei marchi utilizzati sul web con dei nuovi depositi relativi, appunto, alla categoria dell’e-commerce (classe 35), laddove non protetta nei precedenti depositi.

Si è altresì verificato un incremento delle domande di registrazione di marchi riferibili a prodotti cosmetici in classe 3 e con proprietà disinfettanti ed antisettiche in classe 5.

Packaging e tester dei prodotti cosmetici: le innovazioni per acquistare in sicurezza

Altra esigenza cui rispondere, soprattutto nel comparto cosmetico, è quella di effettuare ricerca nel settore del packaging, al fine di trovare soluzioni che tutelino i consumatori, evitando la contaminazione dei prodotti. Il packaging, dunque, assumerà un ruolo centrale, dovendo preservare il prodotto da agenti esterni. In tal senso, i dispenser touchless e airless (grazie a cui il prodotto non entra mai in contatto con l’aria), come erogatori pump e spray, saranno da preferire ai tradizionali contenitori e la loro produzione subirà un notevole incremento.

La necessità di tutelare il consumatore non investe unicamente i prodotti destinati all’acquisto ma altresì gli espositori cosmetici tramite i quali si è soliti provare e scegliere i prodotti.

Con molta probabilità dovremo dire addio ai tradizionali espositori che potrebbero facilmente trasformarsi in veicolo di trasmissione per agenti patogeni.

In sostituzione di questi, già durante la prima fase di riapertura, alcune catene di profumerie hanno proposto piccoli samples monouso, vietando ai potenziali acquirenti di provare i cosmetici degli espositori.

Anche in tale ambito, dunque, le aziende lavoreranno per trovare soluzioni innovative che permettano ai consumatori di non rinunciare, ad esempio, all’esperienza di una prova trucco. Questa è la direzione presa da molte case cosmetiche che, tramite il virtual try-on, hanno proposto sul proprio sito web, o tramite le proprie app, la possibilità di testare virtualmente i propri prodotti.

Tutte le innovazioni che le aziende realizzeranno in questo contesto potranno essere protette, sussistendone i presupposti di legge, tramite il deposito di una domanda di brevetto e, in aggiunta o in alternativa, tramite il deposito di una domanda di registrazione di disegno o modello per tutelarne l’aspetto esteriore.

Nuove formule per nuovi cosmetici da tutelare con il brevetto d’invenzione

Un ulteriore settore nel quale si avranno investimenti da parte delle aziende cosmetiche è quello della ricerca per formulazioni che possano rispondere alle mutate esigenze nell’ambito personal care. Assumono infatti rilievo la cura e il trattamento della pelle (skincare), segnata da mesi di utilizzo delle mascherine.

Quale la strada da percorrere? Certamente le aziende dovranno puntare su formule estremamente idratanti e lenitive, volte a combattere le irritazioni e le dermatiti, nonché studiate per interagire contro l’invecchiamento della pelle delle mani, provate dall’utilizzo dei guanti in lattice. La sintesi perfetta sta nel puntare su cosmetici che, oltre ad essere alleati di bellezza, offrano anche un alto contenuto di idratazione, protezione e igienizzazione.

La ricerca punterà dunque sullo sviluppo di nuove materie prime e principi attivi per creare formule innovative da poter eventualmente tutelare tramite brevetto d’invenzione.

Ricominciare dal Made in Italy grazie all’inventiva delle nostre aziende

Tra i prodotti indispensabili per contrastare l’emergenza sanitaria legata al Coronavirus vi sono anche alcune categorie ricollegabili al comparto della cosmesi la cui domanda ha registrato un vertiginoso aumento.

In questo contesto, molte sono state le aziende italiane che hanno riconvertito le proprie produzioni non solo per salvaguardare la propria produttività e i propri dipendenti ma anche per contribuire ad iniziative solidali.

Tra di esse menzioniamo la Diva International che ha condiviso con noi la sua esperienza e ci ha raccontato come si sia velocemente adeguata al cambiamento, rivedendo le sue strategie commerciali attraverso il lancio di prodotti igienizzanti in gel.

Per far fronte alle mutate abitudini di acquisto, la società ha inoltre dato il via a una piattaforma di e-commerce per permettere ai consumatori di scegliere e acquistare, con un semplice click, tutti i prodotti del suo catalogo.

Trattandosi peraltro di un’azienda che si è sempre distinta nel campo dell’innovazione, tramite il suo team di ricercatori e micro-biologici, sta lavorando alla creazione di nuove formulazioni da poter utilizzare nelle linee dei prodotti per la cura della persona.

In questa direzione si inserisce l’attività di sviluppo di una nuova linea, costituita al 99% da ingredienti di origine biologica e caratterizzata dalla presenza dell’aloe vera, nota per le sue proprietà lenitive, dermoprotettive ed emollienti.

Anche in tema di packaging l’azienda sta lavorando per individuare nuovi materiali da utilizzare che siano anti-contaminazione, ecocompatibili e riciclabili.

L’esempio della Diva International è una testimonianza positiva dell’inventiva e del coraggio, che da sempre caratterizzano le nostre aziende, e rende ben visibile quel cambiamento inevitabile che ha già interessato i comparti del commercio e non solo. Noi tutti, infatti, siamo stati chiamati a dover rimodellare le nostre abitudini quotidiane. Se da un lato questo ha comportato dei sacrifici, c’è chi ne ha colto comunque le opportunità.

E in questo senso, per far sì che gli investimenti realizzati dalle aziende, in materia di ricerca e sviluppo di nuovi prodotti e soluzioni, vengano valorizzati al meglio è necessario ricorrere alla loro tutela attraverso i diversi strumenti sopra illustrati.

Questo permetterà alle loro innovazioni di diventare un importante asset di diritti immateriali destinato a durare anche dopo l’emergenza.