16 marzo 2021 Allure, Marchi Miriam Mangieri

La fragranza di un prodotto può contribuire alla definizione della sua specificità tanto da renderlo riconoscibile dal consumatore? Per il marketing olfattivo sì, grazie alla potenza della memoria in questo ambito. Il problema è come definire criteri “oggettivi” che dovrebbero siglare questa identità trasformandola in un marchio a tutti gli effetti. Nonostante i progressi, la ricerca di una soluzione è ancora aperta.

Tra le strategie pubblicitarie adottate dalle aziende per influenzare la qualità della customer experience vi è il marketing olfattivo, anche noto come scent marketing, che utilizza i profumi per fini commerciali. Il profumo assume dunque un nuovo ruolo, diventando uno strumento di promozione della propria azienda e di rafforzamento dell’identità del proprio brand. Ma un profumo o l’odore di un prodotto può essere registrato come marchio? Allure ne parla con Miriam Mangieri di Jacobacci & Partners.

Scent marketing: il profumo quale elemento identificativo di un brand

L’obiettivo del marketing olfattivo è quello di far sì che il consumatore possa riconoscere un prodotto o il brand di una determinata impresa attraverso una fragranza. Numerosi studi hanno dimostrato che i consumatori, se influenzati dagli odori, sono più stimolati all’acquisto. La memoria olfattiva è infatti uno dei nostri più importanti bagagli emozionali e, se applicata al settore commerciale, è in grado di contribuire alla fidelizzazione dei clienti, a rafforzare il ricordo del brand e a influenzare le scelte d’acquisto. Il successo del marketing olfattivo nasce dalla circostanza che gli odori sono ricordati più facilmente rispetto a segnali di tipo visivo o uditivo. Come dimostrato da studi di settore, in media ricordiamo solo il 5% di ciò che vediamo, il 2% di ciò che sentiamo, mentre ben il 35% di ciò che percepiamo con l’olfatto. Sempre più numerose sono dunque le aziende che ricorrono, oltre ai canali pubblicitari, a strategie commerciali che prevedono l’impiego di fragranze per attirare i clienti e creare un’esperienza di acquisto che coinvolga tutti i sensi. Il consumatore, percependo un profumo, lo ricollegherà allo store di quel brand o a un dato prodotto e, ancor prima di vedere il punto vendita, saprà di essere in prossimità dello stesso. Il profumo che avvolge gli ambienti degli store e vaporizzato sui prodotti stessi, affinché la fragranza possa durare dopo l’acquisto, diventa così un elemento identificativo e distintivo dell’azienda che permarrà nella mente del consumatore permettendogli, tramite la memoria olfattiva, di ricollegare a quel profumo un’esperienza di acquisto piacevole. Analogamente, il particolare profumo di un prodotto diventerà elemento riconoscibile per i consumatori.

Una prospettiva più ampia

La fragranza di un prodotto o il profumo di uno store sono elementi che contribuiscono all’immagine del brand. Ma una fragranza originale o l’odore di qualcosa può essere registrato come marchio? La risposta a questa domanda si ravvisa nella recente novità normativa che, con il decreto legislativo n. 15/2019, ha apportato delle modifiche al Codice della Proprietà industriale (CPI), in applicazione della Direttiva 2015/2436 del Parlamento Europeo. Nello specifico, il novellato art. 7 del Codice della Proprietà Industriale “Oggetto della registrazione” ha eliminato, tra i requisiti richiesti per ottenere una valida registrazione, quello della rappresentazione grafica, da sempre considerato un ostacolo alla registrazione dei marchi atipici. Attualmente la norma prevede che: “Possono costituire oggetto di registrazione come marchio d’impresa tutti i segni, in particolare le parole, compresi i nomi di persone, i disegni, le lettere, le cifre, i suoni, la forma del prodotto o della confezione di esso, le combinazioni o le tonalità cromatiche, purché siano atti: a distinguere i prodotti o i servizi di un’impresa da quelli delle altre; e a essere rappresentati nel registro in modo tale da consentire alle autorità competenti e al pubblico di determinare con chiarezza e precisione l’oggetto della protezione conferita al titolare”. La ratio sottesa a tale novità normativa è di allargare il novero dei segni registrabili quali marchi, permettendo anche ai cosiddetti “marchi non convenzionali” di formare oggetto di una domanda di registrazione. Così, potranno formare oggetto di privativa non solo marchi verbali, figurativi, tridimensionali ma anche sonori, olografici, di movimento e multimediali. Nello specifico, la tipologia di marchio tramite la quale poter tutelare una fragranza o l’odore di un prodotto è il marchio olfattivo. Questo, come tutti i marchi, deve possedere i requisiti di validità previsti dalla legge e in primis essere scindibile dal prodotto. Inoltre, il segno olfattivo deve essere distintivo e dunque idoneo a distinguere i prodotti o servizi ai quali è applicato da quelli delle realtà concorrenti.

Il superamento dei segni grafici

Nonostante la registrazione di questi marchi sia astrattamente riconosciuta, ottenerla è ancora molto difficile. L’Ufficio marchi dell’Unione Europea (EUIPO) ha inizialmente assunto un orientamento favorevole verso queste tipologie di segni, concedendo la registrazione “dell’odore dell’erba tagliata di fresco” applicata alle palline da tennis: giunta a scadenza nel 2006 non è, però, stata rinnovata. All’epoca venne concessa in quanto fu ritenuta sufficiente la sola descrizione verbale dell’odore fornita dal richiedente: un odore preciso che tutti sono in grado di riconoscere immediatamente dall’esperienza. Tuttavia, questo orientamento iniziale si è modificato, lasciando spazio a tesi più restrittive e rigorose. Il tema della rappresentazione grafica dei segni non tradizionali, e in particolare di quelli olfattivi, è stato approfondito dalla famosa sentenza Sieckmann della Corte di Giustizia. Il caso riguardava una domanda di registrazione come marchio di un particolare “aroma balsamico fruttato con una leggera traccia di cannella”. Oltre a tale descrizione il richiedente aveva fornito la formula chimica e una lista di laboratori che si sarebbero prestati, su domanda, a fornire un campione di tale aroma. Tale marchio fu respinto in quanto la descrizione testuale fu ritenuta poco chiara e precisa e non considerata sufficientemente oggettiva. La formula chimica non fu ritenuta idonea in quanto mirava a identificare solo le sostanze di cui era costituito il prodotto, ma non l’odore in sé. Anche il campione non fu ritenuto sufficiente in ragione della trasformazione nel corso del tempo e della volatizzazione delle particelle odorose. In detta sentenza la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha sostenuto dunque che “qualora si tratti di un segno olfattivo i requisiti di rappresentazione grafica non sono soddisfatti attraverso una formula chimica, mediante una descrizione formulata per iscritto, con il deposito di un campione di un odore o attraverso la combinazione di detti elementi”. Tale tesi restrittiva rendeva estremamente difficile soddisfare il requisito della rappresentazione grafica del segno portando a escludere dalla registrabilità i segni olfattivi. In ragione di questa pronuncia, successive domande di registrazione aventi a oggetto marchi olfattivi, quali per esempio “profumo di arancia” applicato a prodotti antidepressivi o “fragranza di limone” per suole di scarpe e calzature, sono state rifiutate. Il legislatore Ue, con il nuovo regolamento sul marchio ha deciso di abolire un requisito ormai anacronistico come quello della rappresentabilità grafica con una riproduzione del segno che consenta di individuare in maniera chiara e precisa il segno oggetto di protezione. Che, dunque, può essere rappresentato in qualunque modo e forma idonea, utilizzando la tecnologia disponibile e non necessariamente mediante strumenti grafici. Il fine è quello di prevedere sistemi di registrazione dei marchi più rapidi, accessibili e tecnologicamente aggiornati.

Molti passi avanti

Nonostante questo approccio più flessibile, permangono delle criticità. Per prima cosa, un marchio olfattivo avrà sempre un elemento di soggettività, ovvero verrà percepito in maniera differente da “nasi” diversi. Inoltre, il Regolamento di esecuzione del marchio dell’Unione Europea (art.3) continua a ritenere i campioni rappresentazioni non adeguate. Più flessibile, rispetto all’orientamento seguito in Unione Europea, l’approccio di altri Uffici marchi. Per esempio il Patent and Trademark Office britannico aveva concesso la registrazione di due marchi olfattivi: “fragranza floreale di rose” applicata a pneumatici e “forte odore di birra” relativa a freccette. Diversi sono i precedenti di successo che si riscontrano negli Usa. Il primo marchio olfattivo concesso dall’Ufficio marchi degli Stati Uniti (USPTO) risale al 1990. La società Osewez ottenne la registrazione per la “fragranza fresca, floreale che ricorda i fiori di plumeria” utilizzata per il filo da ricamo. Così si sono poi succedute diverse registrazioni, alcune piuttosto recenti e ancora in vigore, tra cui, per esempio, il “profumo di gomma da masticare” in relazione a sandali; “I’odore di menta” di cerotti antidolorifici o l’odore del Play-Doh che, a seguito dell’applicazione della Hasbro Inc., è stato concesso come scent trademark nel 2018.

La comunicazione aiuta

Il quadro che emerge dall’esame della giurisprudenza dell’Unione Europea, nonostante le modifiche normative, non sembra comunque favorevole alla registrazione dei marchi olfattivi. Sebbene la possibilità di registrarli non sia preclusa, l’approccio rigoroso impedisce la realizzabilità in concreto di questa strategia, non essendo possibile fornire una rappresentazione del segno in linea con i criteri elaborati dalla Corte di Giustizia. Non sarebbero infatti sufficienti né la descrizione verbale dell’odore, né la formula chimica dello stesso, né il deposito un campione dell’odore, né una combinazione di tutti questi elementi. Si tratta, quindi, di un tema aperto che potrà determinare un mutamento di tendenza solo grazie a innovazioni tecnologiche che portino a superare i limiti sopra citati e permettano una rappresentazione del segno olfattivo chiara, precisa, autonoma, facilmente accessibile, intellegibile, durevole e obiettiva. Per far fronte a queste problematiche si è ipotizzata una sorta di “Classificazione internazionale di odori”, simile a quella già esistente per i colori o per la scrittura, che permetta l’identificazione obiettiva di un segno olfattivo ricollegandolo a una denominazione o a un codice preciso. Un sistema, però, non ancora elaborato. Anche laddove si riuscissero a trovare strumenti idonei a riprodurre segni olfattivi, resterà fermo il requisito della capacità distintiva: il consumatore dovrà essere in grado di identificare la provenienza del prodotto o del servizio offerto attraverso il marchio olfattivo. In ragione di ciò, è consigliabile, a chi voglia fare di una fragranza un punto di forza dei propri prodotti e del suo brand, aumentare gli investimenti in strategie di comunicazione affinché, tramite l’utilizzo continuativo nel tempo della fragranza, questa possa acquistare carattere distintivo. In tal modo, una volta che si troverà la tecnica per “rappresentare” un odore, si potranno presentare, a supporto della domanda di registrazione, prove che attestino che i consumatori riconoscono quell’impresa o i suoi prodotti in virtù di quello specifico odore, aumentando le chances di ottenere una valida registrazione.