L'articolo 110 del DL 104/2020 (Misure urgenti per il sostegno e il rilancio dell'economia, c.d. “decreto Agosto”) prevede una nuova disciplina di rivalutazione dei beni d'impresa, siano essi beni materiali o immateriali.
Questa misura è particolarmente interessante per le imprese titolari di beni immateriali che, come noto, comprendono diritti di Proprietà Intellettuale registrati (marchi, brevetti, design) e anche non registrati (know-how, diritto d'autore).
Ne abbiamo parlato il 10 dicembre in occasione del webinar organizzato in collaborazione con lo Studio Legale Jacobacci & Associati. Relatori: Fabrizio Jacobacci e Francesco Chimini.
Contenuti integrali del webinar
Buongiorno e benvenuti a questo webinar organizzato congiuntamente dallo Studio Legale Jacobacci e Associati e dalla Jacobacci & Partners S.p.A.
Sono Fabrizio Jacobacci e insieme all'Ing. Francesco Chimini vi illustreremo le questioni relative all'attività di rivalutazione dei beni – per la precisione, dei beni immateriali - prevista dal così detto Decreto Agosto.
Il tema quindi che ci interessa principalmente è quello relativo alla possibilità di rivalutare i beni e, nel nostro caso ci interessano i beni immateriali, previsto dall'articolo 110 del cosiddetto Decreto Agosto. Né io né l'Ing. Chimini siamo dei fiscalisti o dei tributaristi, anche se ci siamo occupati per molti anni anche dell'attività di rivalutazione e valutazione di taluni diritti di Proprietà Industriale, in particolare i marchi, ma la nostra attività principale consiste nella fase preparatoria di quella che sarà poi l'attività di identificazione del valore da attribuire ai fini della rivalutazione al bene.
Perché questa attività è interessante? Questa è una importante ma soprattutto vantaggiosa opportunità per le imprese di rivalutare i propri beni, con conseguente miglioramento e beneficio della rete in bancario; miglioramento quindi delle possibilità di accedere in modo più agevole e favorevole a prestiti e finanziamenti; nel contempo, ovviamente, ci può essere anche un ulteriore vantaggio che è quello di pagare un'imposta sostitutiva delle imposte sui redditi dell'Irap che è estremamente leggera con l'aliquota ridotta al 3%, acquisendo in tal modo anche il riconoscimento fiscale dei maggiori valori. Inoltre, in questa nuova disposizione, a differenza della normativa precedente, non c'è l'obbligo di dover trattare tutti i beni appartenenti alle medesime categorie omogenee e, quindi, la rivalutazione può essere effettuata distintamente per ciascun bene.
A fronte di queste opzioni, si apre quindi per l'impresa la scelta di procedere con un'attività di rivalutazione dei beni immateriali. È un'attività evidentemente, proprio per la natura stessa dei beni, diversa da un'attività di perizia del valore. Perché? Perché in qualche modo il bene immateriale, come dice la stessa parola, è qualcosa di intangibile, che non può essere oggetto di un esame dettato dai nostri sensi o dalla nostra esperienza, devono essere oggetto di un esame che, per sua natura, è squisitamente giuridico e tecnico. A questo punto lascerei la parola all'Ing. Chimini per la prima parte della nostra presentazione.
Cominciamo a vedere in sintesi quali sono le attività che riguardano queste fasi preparatorie che servono poi per fornire al valutatore le indicazioni necessarie a effettuare una valutazione economica che, pur avendo come risultato quello di, appunto, dare un valore numerico, comunque ha una forte componente soggettiva. Quindi il nostro lavoro è quello di fornire degli indicatori che rendono il più possibile oggettiva questa valutazione. Naturalmente, la prima fase è quella di identificazione dei singoli asset immateriali di proprietà industriale; poi c'è una fase di due diligence di tipo - se vogliamo - amministrativo, volta a certificare la presenza e la disponibilità degli asset immateriali; quindi una valutazione più qualitativa di questi asset – e questa è la parte forse più delicata e importante perché è quella che determina qual è l'impatto degli asset immateriali sul reddito o sull'extrareddito che viene generato da questi beni, da questi asset di proprietà intellettuale. Infine, ultima, ma non ultima di importanza, una verifica, un'analisi della congruenza tra il portafoglio degli asset immateriali e le attività commerciali dell'azienda. Naturalmente, altrimenti, un'azienda potrebbe avere un bellissimo portafoglio marchi, brevetti e disegni, ma se poi fa tutt'altro, è chiaro che non c'è un contributo di tali asset al reddito dell'impresa. Quindi, per essere valutati – o, meglio, rivalutati - gli asset immateriali devono essere identificati singolarmente e descritti. Questa attività di identificazione è piuttosto semplice per quanto riguarda brevetti, marchi, e design, in quanto sono privative industriali che richiedono una registrazione e, quindi, c'è tutto un fascicolo che va dal deposito all'ottenimento di questi titoli; non è così automatico, invece, identificare il know how e il copyright, ovvero, il diritto d'autore in quanto, come sapete, il diritto d'autore non richiede necessariamente una registrazione, anche che se è consigliata. Così pure il know how, che è un insieme di informazioni segrete, che possono più o meno essere codificate e rese forma in forma scritta, ma non sono oggetto di una registrazione vera e propria.
Ciò premesso, lascio la parola di nuovo all'avvocato Fabrizio Jacobacci relativamente alla tipologia dei marchi a livello di identificazione.
Il primo passo quando si parla di marchi è di identificare una loro caratteristica fondamentale ai fini della valutazione e, cioè, se ci troviamo di fronte a un marchio così detto “ombrello”, un company name o a un marchio di linea o di prodotto. Evidentemente questi marchi, che sotto il profilo giuridico, naturalmente, sono del tutto identici e quindi vengono trattati, salvo alcuni casi particolari, in modo analogo, quando si parla della loro valutazione, evidentemente, giocano un ruolo completamente diverso. Quindi il valore che può essere ascritto a un marchio “ombrello” o company è quello del fatturato realizzato dall'azienda. Il marchio di linea sarà il fatturato realizzato dalla linea di prodotti e il marchio di prodotto il fatturato che può essere ricondotto esclusivamente al marchio di prodotto.
Questo fa sì che, evidentemente, il primo passo è quello di selezionare i beni immateriali oggetto di valutazione. Ricordo, infatti, che non c'è l'obbligo di rivalutare le intere categorie di beni, ma può essere fatta anche una selezione, che può anche partire da questa analisi e, quindi, da quella del tipo di marchio per il quale si intende procedere alla rivalutazione. L'altro diritto importante e spesso trascurato in realtà dalle aziende (devo dire, la nostra esperienza è che le aziende italiane molto spesso dimenticano di dare adeguata valorizzazione al know how) è proprio quello del know how: è anch'esso un diritto di beni immateriale, anch'esso suscettibile di rivalutazione, ma presenta alcune caratteristiche già in fase di identificazione che in qualche modo lo separano da tutti gli altri diritti di proprietà industriale. Infatti, mentre il diritto di brevetto e un diritto di marchio in qualche modo trovano la sua estrinsecazione formale in un documento, il così detto titolo di concessione o titolo di registrazione, il know how è qualcosa che, almeno prima apparenza, appare meno facilmente afferrabile. Si tratta di tutte quelle informazioni di natura industriale e tecnico/commerciale che contribuiscono a formare il valore dell'azienda; quelle informazioni sostanzialmente che permettono all'azienda di conseguire determinati risultati, di realizzare un certo prodotto, di venderlo in certi modi e a certe condizioni, perché ha delle conoscenze che non sono facilmente accessibili sul mercato. Cioè, sono delle conoscenze che, se qualcuno si dovesse procurare, dovrebbe inevitabilmente o investire del tempo e del denaro per procurarsele, oppure comprarle direttamente da qualcuno: in questo senso, quindi, il know how ha un suo valore economico perché è il frutto di più stratificazione di investimenti effettuati dall'azienda o ancora il frutto proprio di una spesa, di un acquisto che è stato fatto da un'azienda per acquisire queste informazioni. Ovviamente, il suo valore dipende anche dalla capacità dell'azienda di mantenerlo segreto e, quindi, dell'aver posto in essere tutte quelle misure necessarie a conservarlo ragionevolmente segreto nel tempo. Perché se queste misure non sono poste in essere, si può trattare di know how, ma evidentemente non è un know how giuridicamente tutelabile ed è evidente che soltanto il know how giuridicamente tutelabile così identificato può essere oggetto di una valutazione e di una rivalutazione ai fini dell'Articolo 110 del decreto.
Per fare due esempi che possono essere molto chiari per inquadrare meglio il tema del know how, quando parlavo di informazioni non note o facilmente accessibili, ciò significa che se parlo, per esempio, di un'informazione di tipo tecnico, si tratta di un'informazione che non deve essere facilmente raggiunta tramite una ricerca , per esempio, nello stato della tecnica. Se questa informazione può essere così ottenuta tramite un piccolo e rapido investimento, evidentemente non si tratta di know how giuridicamente tutelabile. Allo stesso modo, se il know how può essere facilmente oggetto di reverse engineerig, e quindi senza dover effettuare investimenti cospicui in termini di tempo e di denaro al fine di completare l'operazione di reverse engineering, nuovamente, si tratterà di un know how che non è facilmente tutelabile e, quindi, non può essere oggetto di una valutazione.
Quindi, in che cosa consiste sostanzialmente questa attività preventiva, diciamo così, propedeutica alla rivalutazione?
Ci sono una serie di step, di operazioni che devono essere compiute dall'operatore qualificato, avvocato o consulente di proprietà industriale per permettere poi di operare con serenità nel momento della quantificazione della valorizzazione del bene. Innanzitutto deve essere valutato se questi beni sono e possono essere validamente ritenuti in capo al soggetto che vuole effettuare la rivalutazione e cioè, quindi, se ne è effettivamente titolare, se ci sono dei rischi di rivendica da parte di terzi; e infine valutare se questo è un diritto sul quale gravano le licenze attive o passive, quindi, se è un destinatario soggetto di una licenza oppure se il diritto è stato a sua volta concesso in licenza, per capire in quale misura esso è nella disponibilità piena o parziale del titolare.
L'altro aspetto è naturalmente quello della copertura territoriale: i diritti sui beni immateriali sono per loro natura diritti territoriali e quindi sono limitati a determinate giurisdizioni; nella misura in cui io vendo - faccio un esempio per chiarire il punto - un prodotto in 10 paesi e il brevetto che rende questo prodotto unico e quindi non imitabile nelle sue caratteristiche principali ed è stato concesso solo con riferimento a 2 paesi, è evidente che il mio fatturato realizzato negli altri otto paesi non è riconducibile a un vantaggio competitivo conferitomi da un brevetto che, in quel caso, non esiste.
Altro aspetto naturalmente importante è capire a che stadio della vita ci si trova: cioè, effettivamente, quali sono le fasi del brevetto o del marchio: se è in una fase di concessione, e quindi il brevetto è già stato valutato e ritenuto suscettibile di conferire dei diritti di esclusiva, e così via, e naturalmente, aspetto fondamentale, soprattutto per alcuni diritti, la durata residua. Ora, il tema della durata residua del titolo è evidentemente importante perché, mentre un marchio può teoricamente durare in eterno (è sufficiente rinnovarlo, alla scadenza), i brevetti hanno una durata normalmente di vent'anni e quindi – diciamo così - il ciclo di vita utile normalmente segue una curva, per cui tende il valore a elevarsi al tempo e poi ridursi mano a mano che la tecnologia diventa obsoleta e, in ogni caso, anche se non diventa obsoleta, allo scadere dei vent'anni il brevetto o non può più avere valore, in quanto una volta scaduto esso entra in pubblico dominio e chiunque può riprodurre quella soluzione tecnica.
Il know how presenta a sua volta delle caratteristiche peculiari perché, essendo e sussistendo nella misura in cui esso resta segreto, è evidente tecnicamente o teoricamente o più opportunamente può durare anch'egli in eterno, ma trattandosi molto spesso di informazioni di natura tecnica e industriale, anche il know how può essere soggetto un processo di obsolescenza che ne diminuisce il valore nel tempo. Quindi la quantificazione e la valutazione della durata residua e della collocazione, diciamo così, del bene nel momento stretto in cui si effettua la rivalutazione sulla sua curva di crescita o decrescita del suo valore, è anche molto importante.
Passiamo ora alla valutazione qualitativa degli asset immateriali. In particolare, parliamo dei brevetti. I due aspetti che impattano maggiormente sul valore di un brevetto sono la sua validità legale e l'ampiezza della protezione che esso conferisce. Per quanto riguarda la validità legale, si tratta di verificare - come già anticipato dall'avvocato Fabrizio Jacobacci - lo stato del brevetto o della domanda di brevetto. Quindi, se è una domanda ancora pendente o se è un titolo già concesso. Se è una domanda ancora pendente, un indicatore utile può essere il rapporto di ricerca emesso dagli uffici dove si veda la presenza dei requisiti di brevettabilità, alla luce delle anteriorità emerse dalla ricerca. Poiché i brevetti vengono solitamente sottoposti a un esame di merito e, in alcuni paesi o in alcune giurisdizioni, peraltro, molto severo come il brevetto europeo, il brevetto statunitense, il brevetto cinese, il brevetto giapponese, la concessione di un titolo è una presunzione forte di validità; ci possono poi essere dei casi in cui il brevetto, anche se concesso, può essere sottoposto a delle azioni di opposizione di tipo amministrativo o a delle azioni di nullità giudiziarie. Quindi, anche in questo caso, questi sono degli indicatori molto preziosi per il valutatore sull'aspetto della validità legale; per quanto riguarda l'ampiezza della protezione, è un aspetto molto importante perché stabilisce che cosa effettivamente il brevetto protegge e questo richiede un'analisi della parte legale del brevetto, che sono le rivendicazioni; quindi dalla formulazione delle rivendicazioni, si stabilisce questa ampiezza, questo ambito di protezione. In particolare, potremmo avere delle rivendicazioni formulate in modo molto ampio, generico, quindi, costituite da un numero ridotto di caratteristiche tecniche che cooperano tra di loro; al contrario, delle rivendicazioni invece che sono state limitate, per esempio, nel corso della procedura di esame e, quindi, hanno portato a un brevetto che in realtà ha un ambito di protezione, appunto, ristretto, limitato. Immaginatevi un puzzle: più il numero delle tessere che lo compongono è elevato, più è facile per i concorrenti sostituire alcune di queste tessere e quindi fare un design around del brevetto. Quindi, la formulazione delle rivendicazioni è un aspetto molto importante che influisce sul valore economico di un brevetto. Altro aspetto che attiene all'ampiezza e alla protezione, è la presenza di più rivendicazioni indipendenti, che quindi tutelano vari aspetti di uno stesso concetto inventivo; quindi un prodotto, un procedimento, una macchina, un impianto, un composto o l'uso per esempio nel settore chimico, e questo per far sì che il titolare del brevetto possa vantare un diritto di esclusiva su tutta la catena del valore, dalla produzione fino all'uso di un prodotto o di una macchina o di un composto brevettato. Maggiore è questo diritto di monopolio su tutte queste fasi, maggiore è il valore del brevetto. Quindi si tratta di capire se i brevetti tutelano una nuova tecnologia, piuttosto che un miglioramento rispetto a delle tecnologie esistenti, piuttosto ancora, nel caso di brevetto con ampiezza limitata, una specifica forma di realizzazione: chiaro che il valore cresce o decresce a seconda di quale di questa situazione si verifichi. Quindi sostanzialmente si tratta di rispondere alla domanda: quanto l'invenzione oggetto di brevetto è sostituibile, rimpiazzabile con un'altra e, quindi, qual è la capacità di escludere i concorrenti da un certo mercato?
Altri parametri non meno importanti che impattano sulla valutazione economica dei brevetti sono i seguenti: se si tratta di brevetto dominante o di brevetto dipendente. In particolare ricordo che il brevetto dipendente è proprio una fattispecie legale che sottintende il fatto che lo sfruttamento richiede l'autorizzazione da parte del titolare di un brevetto dominante, che è venuto prima e che ha un'ampiezza di tutela più ampia. Quindi, in questo caso, un brevetto dipendente avrà sicuramente un valore economico inferiore rispetto a un brevetto dominante.
Più in particolare, se sono state fatte delle verifiche di libera attuazione dell'invenzione rivendicata. Quindi, anche qui, se l'oggetto del brevetto può essere liberamente attuato, sfruttato dall'azienda o se invece c'è il rischio che si violino ii brevetti di terzi. Una strategia di brevettazione può includere anche strategie volte a prolungare nel tempo la protezione di una determinata tecnologia e, quindi, al di là del termine ventennale di un brevetto, si possono poi depositare ulteriori privative di perfezionamento o in alcune giurisdizioni sono previste proprio delle continuation application o delle domande divisionali, che possono prolungare nel tempo o a livello di modalità di tutela di diversi aspetti di uno stesso concetto inventivo. Quindi un pacchetto di brevetti di questo tipo ha un elevato valore economico rispetto a i brevetti singoli.
Altro indicatore molto importante è la presenza di eventuali azioni di contraffazione, soprattutto se hanno avuto successo, o anche diffide che hanno avuto un riscontro positivo, sono indicatori di forza del brevetto e di esclusione dei competitors dal mercato e quindi una valorizzazione forte del brevetto.
Un altro prospetto può riguardare la combinazione sinergica tra diversi titoli di proprietà intellettuale; per esempio, il brevetto può essere supportato da registrazioni di design e/o di marchi. Per esempio una lampada particolare, un fanale automobilistico, che hanno un'estetica molto originale, ma che viene in qualche modo permessa da una struttura interna, un layout, che è oggetto di brevetto; ad esempio una disposizione dei led, piuttosto che delle schede elettroniche o degli elementi ottici. In questo caso, brevetto e design si supportano vicendevolmente e questo insieme assume un valore maggiore rispetto a titoli isolati.
Per quanto riguarda una valutazione qualitativa dei marchi abbiamo provato a fornirvi qui, un breve sommario degli elementi che devono essere presi in considerazione e che possono accrescere o decrescere, e quindi influire in modo anche molto incisivo sul valore del marchio.
Si tratta di elementi abbastanza ovvi, ma facendone una brevissima carrellata, almeno di quelli più significativi, un primo aspetto importante è la sua differenziazione rispetto ai marchi presenti sul mercato e anche alla sua caratteristica di marchio descrittivo, non suggestivo.
Quindi un marchio che gode di un'ampia tutela legale e che allo stesso tempo si pone in modo visibilmente separato dai marchi normalmente utilizzati nel settore di riferimento. Ovviamente la celebrità del marchio e, quindi, il suo status symbol, la sua appetibilità, la sua capacità attrattiva, il livello di fidelizzazione del consumatore e il riconoscimento del marchio, il così detto brand awareness, la capacità del marchio di esercitare nei confronti della distribuzione un potere contrattuale, quindi dare un vantaggio alle negoziazioni contrattuali al titolare del marchio nei confronti dei suoi partner commerciali e quindi la capacità, ad esempio, se ha utilizzato in settori paralleli anche di aumentare le quote di mercato, quindi una capacità di trascinamento nei confronti di prodotti anche diversi da quelli sui quali originariamente è utilizzato.
Allo stesso tempo, per converso, c'è tutta una serie di caratteristiche del marchio che possono ridurne l'appetibilità, il valore, quindi in primis un debole effetto distintivo del marchio: questo incide sulla sua capacità di tutela in sede legale ed è chiaro che un marchio, la cui protezione legale è particolarmente circoscritta ha un valore minore, perchè sarà meno capace di difendersi dagli attacchi della concorrenza, bassa differenziazione rispetto ai marchi del mercato per le ragioni ovviamente opposte a quelle che ho illustrato poc'anzi. Diffusione geograficamente limitata: i diritti di marchio, come gli altri diritti di proprietà industriale, sono territoriali e, quindi, l'assenza o la non presenza del marchio in determinati territori, sotto il profilo della registrazione, fa sì che in quei territori i prodotti che recano quel marchio non siano tutelati o siano tutelati in modo molto meno efficace e, quindi, il marchio non sia in grado di conferire alcun specifico vantaggio all'impresa.
Marchi che abbiano una modesta capacità di fidelizzazione o una bassa attrattività: queste sono tutte caratteristiche che incidono in modo negativo al momento della valutazione del valore del marchio.
Il know how, di nuovo, presenta delle caratteristiche un po' particolari, che lo separano da tutti gli altri diritti di Proprietà Industriale, ma non per questo non è un diritto suscettibile naturalmente di valutazione. Quindi, nel momento in cui si effettua una valutazione di tipo qualitativo, bisogna cercare di determinare qual è/sarà la durata presumibile di questo diritto. Il primo passo è di valutare la capacità di questo diritto di rimanere segreto, poi quando si parla di know how di natura tecnologica, di identificare il posizionamento del know how sulla curva del ciclo della vita della tecnologia e, quindi, se sia in una fase di sviluppo e di riconoscimento del mercato o sia in una fase di obsolescenza e quindi di abbandono del suo utilizzo dal mercato. Questo mi impone – se questi sono i due elementi importanti - di fare un'analisi qualitativa e dettagliata delle misure messe in atto dall'azienda per la segretezza, perchè il livello di queste misure determina, al di sotto di una certa soglia, l'assenza del diritto e, al di sopra di una certa soglia, la presenza del diritto, ma anche la sua attitudine a rimanere segreto nel tempo e quindi di avere una durata più lunga.
Questo comporta un'analisi della contrattualistica che è stata posta in essere con dipendenti, clienti, fornitori, consulenti, al fine di accertarsi che siano state messe in atto tutte le misure anche nei rapporti con i terzi, volte a garantire che le informazioni segrete restino tali e, in ultima analisi, anche quale potrebbe essere il costo che deve affrontare un concorrente per ottenere queste informazioni da altre fonti. Quindi, capire qual è il valore del know how è anche collegato alla possibilità di effettuare un reverse engineering, quando si tratta di know how di carattere tecnologico, che riguarda la natura del prodotto e se, dall'esame dello studio del prodotto, possa in qualche modo derivare il know how sottostante.
Se questo è possibile e se è più o meno facile, è un altro elemento che concorre a determinare il valore del know how, perché se è difficilissimo, lunghissimo e costosissimo, evidentemente i concorrenti saranno scoraggiati a intraprendere questa attività, o anche se la intraprendessero, questo costituirebbe un ostacolo all'ingresso sul mercato del concorrente mediante lo sfruttamento del know how.
L'altro aspetto importante è ovviamente ricordare che il know how, a differenza del brevetto, non tutela il suo proprietario nei confronti di coloro che si sviluppano autonomamente in modo indipendente con mezzi propri lo stesso know how. In fondo, questo chiude il cerchio del discorso che abbiamo fatto: il brevetto conferisce un diritto di esclusiva a chi prima arriva, o meglio a chi prima ottiene o richiede un brevetto su una determinata soluzione tecnica, indipendente dal fatto che altri in tempi successivi e in modo indipendente e autonomo arrivino a una stessa soluzione tecnica. Il titolare del brevetto è tutelato anche nei confronti dell'inventore successivo di buona fede. Nel caso di know how così non è e, quindi, chi successivamente acquisisce, sviluppa le medesime informazioni in virtù di uno sforzo autonomo, ovviamente ha la libertà di utilizzare e nulla gli può essere impedito da parte dell'iniziale sviluppatore del know how.
Una nota riguardante la valutazione qualitativa del diritto d'autore che, come sapete, ha una durata che corrisponde a fino a settant'anni dalla morte dell'autore. Quindi, anche in questo caso, si tratta di stabilire a che punto si sta effettuando dalla durata del diritto d'autore la valutazione o la rivalutazione, in quanto questo valore può addirittura crescere nel tempo. Anche in questo caso, come per il know how , è molto importante la contrattualistica al fine di controllare appunto i diritti sulle opere dell'ingegno; anche partendo dall'opera originale che può essere, ad esempio, un romanzo, che poi si declina in tutta una serie di altre opere che derivano da quella principale (per esempio, un film, dei videogiochi, eccetera eccetera), quindi è importante verificare quanto il detentore del diritto d'autore è in grado di controllare tutte queste opere successive, e quindi godere dei diritti d'autore.
Ricordo che fanno parte del diritto d'autore anche i software, giuridicamente tutelabili, che devono avere il solo requisito di essere frutto di un'opera creativa dell'autore. Il software non è necessario che sia registrato, tuttavia è consigliabile effettuare un deposito, ad esempio, presso il registro della Siae, dei programmi per operatore, proprio per avere una prova certa della datazione e della paternità del software. Anche qui, nella fase di due diligence, capire se ci sono dei problemi o meno di verifica della paternità e della datazione del software. Il software, non essendo un brevetto, permette un reverse engineering e, quindi, anche in questo caso, è utile capire che probabilità c'è per il competitor di riuscire a ottenere lo stesso risultato che ha ottenuto l'autore del software, ma in un modo diverso, quindi, non tutelato dal diritto d'autore.
Infine, l'ultima fase di queste analisi del portafoglio ai fini della rivalutazione è la congruenza tra i titoli di proprietà intellettuale e le attività commerciali dell'azienda.
Sempre in tema di brevetti, un primo aspetto è la congruenza territoriale, cioè un confronto tra i brevetti del portafoglio e i fatturati per singoli paesi. Quindi non possono essere considerati i contributi di brevetti in paesi dove c'è fatturato, dove ci sono vendite di prodotti, ma il brevetto in quei paesi non è presente e quindi bisogna purtroppo scorporare il fatturato che in questi paesi non è associato alla presenza di un brevetto. Molto importante è la congruenza tecnica: quindi, il confronto tra il contenuto delle rivendicazioni del brevetto e il fatturato per tipologia di prodotto o procedimento, ovvero su quale parte del catalogo prodotti o servizi, procedimenti dell'azienda, impatta il portafoglio brevettuale. In particolare, qui bisogna prendere in considerazione alcuni aspetti; come detto prima, durante una fase di ottenimento di un brevetto, può essere che esso venga in qualche modo limitato; viceversa il prodotto, in certe fasi della sua ingegnerizzazione, può assumere delle forme di realizzazione inizialmente non previste, e quindi bisogna verificare periodicamente la corrispondenza tra il portafoglio brevettuale e i prodotti che risultano dalle fasi di ingegnerizzazione e che vengono poi immessi sul mercato: le due cose non sempre coincidono.
Quindi, è molto importante verificare questa corrispondenza: si tratta di capire se le rivendicazioni brevettuali proteggono effettivamente l'invenzione che crea valore. Sotto questo aspetto, può essere molto utile evidenziare le capacità del brevetto di ottenere risultati immediatamente quantificabili per l'azienda, ad esempio attraverso economie di scala o risparmi; quindi, nei metodi di produzione piuttosto che come vengono realizzati o assemblati dei prodotti. È abbastanza agevole in questo caso associare un valore economico perché è proprio il beneficio dato dal come viene realizzato un prodotto o un procedimento innovativo. Non tutti i brevetti possono essere necessariamente sfruttati modo diretto dall'azienda: potrebbe essere che alcuni brevetti vengano dati in licenza a terzi. In questo caso, è più agevole stimare il valore economico del brevetto, perché può essere legato in modo diretto alle royalty percepite. Infine, un altro aspetto da considerare è se il portafoglio brevettuale protegge possibili trend tecnologici futuri a cui l'azienda sta pensando; quindi, al di là del business, al di là dell'attività attuali, ogni azienda che fa ricerca e sviluppo pensa anche con una visione di medio lungo-termine. È quindi importante che già si cominci a proteggere anche possibili scenari futuri: hanno un valore economico anche brevetti che possono non essere già attuati.
Per quanto riguarda i marchi la valutazione e la congruenza è decisamente più semplice: c'è la congruenza territoriale e, quindi, di confronto tra i territori ricoperti dalle registrazioni e il fatturato realizzato in ciascuna delle giurisdizioni interessate. Una congruenza di tipo merceologico, cioè assicurarsi che i prodotti o servizi per i quali il marchio è registrato comprenda i prodotti o servizi per i quali il marchio è utilizzato e con i quali l'azienda realizza il proprio fatturato. Anche qui, valutare se ci sono sviluppi probabili o evidenti in settori paralleli e quindi aree di sviluppo del business in settori merceologici o di servizi paralleli, che possono essere ricondotti al marchio già utilizzato, valutare se sia possibile per l'azienda espandere la propria attività anche in questi settori col medesimo marchio e, quindi, avvalendosi della stessa capacità attrattiva, della sua già provata conoscenza presso il pubblico per offrire direttamente o indirettamente ulteriori servizi o prodotti. Anche questa è una caratteristica che concorre a determinare le potenzialità del marchio.
Con questo credo che abbiamo finito questa veloce, velocissima carrellata: evidentemente, come ci tengo a ribadire, questa è un'introduzione al tema.
Passerei nel breve tempo residuo a una domanda che ci è stata fatta, cioè se si possono rivalutare marchi, disegni in portafoglio, ma non ancora sfruttati.
La risposta è sì, ma non del tutto. Nel senso che il marchio non ancora utilizzato, di fatto, non ha un suo valore, nel senso che non è associato a quel marchio alcun avviamento neppure minimo, perché non ha fatto oggetto di utilizzazione che, in qualche modo, possa incrementare il valore del marchio rispetto al costo sostenuto per ottenerlo. Per quanto riguarda i disegni registrati, vale forse un po' più il discorso che è stato fatto in tema di brevetti e se ci fosse un interesse nel momento in cui si prevede che quel disegno sia rappresentativo di un trend di evoluzione della forma del prodotto che può renderlo appetibile, interessante anche in assenza di un suo sfruttamento attuale. Quindi sì, seppure con molta cautela e limitatamente ai disegni. Ovviamente, come dicevo, per un marchio non utilizzato o a scarso valore e lo stesso vale, direi, anche per il marchio così detto solo difensivo; a parte che ci tengo a ricordare che il concetto di marchio difensivo è un concetto sviluppato dalla giurisprudenza e dalla dottrina italiana di proprietà industriale che non ha trovato sostanzialmente – e devo dire a ragione - accoglimento nella giurisprudenza comunitaria e anche piuttosto in ribasso anche in Italia, quindi, il marchio difensivo, sinceramente, non lo ritengo un investimento ben fatto.
Mi è stato richiesto di ritornare sul tema di quali sarebbero i vantaggi dell'opera di rivalutazione. I vantaggi, sono sostanzialmente due. Da un lato, quello di dare una maggiore consistenza patrimoniale alla società e quindi di facilitare le sue possibilità di ottenere finanziamenti o prestiti. Una maggiore solidità fa sì che il proprio interlocutore finanziatore sia più bendisposto a concedere prestiti o finanziamenti. L'altro possibile vantaggio è di natura fiscale, perché c'è la possibilità di fare una rivalutazione con rilevanza fiscale pagando un'imposta sostitutiva sulla valutazione dell'imposta sui redditi dell'Irap, è molto leggera (ridotta al 3%) e, evidentemente, portandosi/creando un cespite che può essere soggetto ad ammortamenti successivi e quindi vanno a ridurre il carico fiscale sugli anni/esercizi successivi. Pertanto, il vantaggio è quello di anticipare in modo grandemente scontato un'imposta andando poi a fatturare una riduzione delle imposte che saranno successivamente a carico del contribuente.
La previsione di un ampliamento di registrazione territoriale del marchio non può essere conteggiata invece nella rivalutazione per il semplice motivo che una semplice previsione di acquisire un diritto non ancora acquisito, per me, non si tratta di un bene iscritto a bilancio: non esiste il bene al momento di fare valutazione.
Vedo che ci sono molte domande sui marchi e ne leggo una: un marchio mantenuto dormiente in una società al momento inattiva per anni, ma regolarmente tutelato da un punto di vista di registrazione merceologica territoriale, può questo rivalutato?
Sì e no: nel senso che se il marchio non viene utilizzato per oltre cinque anni consecutivi, è suscettibile di decadenza per non uso, ma anche vulnerabile a un'azione di decadenza per non uso evidentemente non ha valore, in quanto chiunque potrebbe chiederne la sua radiazione in qualunque momento. Quindi il problema che si pone è, nel momento in cui chiedo la rivalutazione, sono in presenza di un marchio vulnerabile, e quindi un marchio che può essere in qualche modo cancellato. È chiaro che un marchio che ha questo rischio è un marchio che ha necessariamente un valore molto basso. Se, quantomeno, di esso ne permane il ricordo presso i consumatori, o addirittura pari a zero.
Chi fa la rivalutazione?
La rivalutazione, nel caso di beni di proprietà immateriale, è il frutto normalmente – anche se non sempre - di un lavoro di squadra, cioè da parte dell'avvocato industrialista e del consulente di Proprietà Industriale e eventualmente del fiscalista o commercialista di fiducia dell'azienda.
I modelli comunitari non registrati sono dei diritti e, come tali, possono essere registrati? Confermo anche questa domanda.
Per quanto riguarda i costi di queste operazioni, ovviamente dipende dalla quantità e dalla natura dei titoli. Diciamo che l'attività di valutazione del diritto di marchio ha un costo inferiore, perché tutte le attività di due diligence sono più semplici e anche perché, di solito questa attività può essere svolta in autonomia anche dal consulente di Proprietà Industriale o dall'avvocato. Per quanto riguarda gli altri diritti, spesso, innanzitutto sono richieste competenze più ampie e di diversa natura e questo porta a un costo maggiore. Il mio consiglio è quello di procedere a un'attività di rivalutazione e di valutare il costo dell'operazione a fronte del vantaggio che l'operazione potrebbe dare e quindi fare una prima valutazione del potenziale vantaggio derivante dall'attività di rivalutazione alla luce del vantaggio di valutare se il costo che può essere sostenuto appare congruo.
Viene chiesto se è possibile rivalutare un portale Internet sviluppato internamente.
Mi verrebbe da dire di sì, perché ci può essere sul portale una protezione data dal diritto d'autore, piuttosto che una tutela di modelli delle interfacce grafiche, per esempio, anche se non registrata; quindi andrebbe approfondito, ma direi che, in linea di massima, si può rivalutare.
È necessaria una perizia di rivalutazione per ogni bene immateriale? Io direi per ogni bene o categoria di beni immateriali; assolutamente all'interno della categoria se ci sono beni radicalmente diversi. È necessario fare delle perizie separate tenendo presente, nel caso dei marchi, che se ho un marchio – faccio un esempio banale – Nutella, ne ho in realtà 30: perché ho il marchio Nutella in Francia, in Germania, e così via. Ovviamente la perizia di valutazione sarà una sola anche se sono diritti tra loro separati.
Quali sono le basi di calcolo per la valutazione del marchio o del brevetto?
Diciamo che è difficile, salvo casi estremamente banali, che il costo di una perizia di rivalutazione di un marchio o di un brevetto sia inferiore a € 4000/5000, però poi da lì a salire, molto dipende dalla quota dei titoli, la loro differenza, dalla loro natura e anche dal valore complessivo perché evidentemente, come noto, chi effettua una perizia di rivalutazione si assume anche una discreta responsabilità nei confronti dell'autorità e quindi è chiaro che anche questo ha un suo peso nel determinare il costo della perizia.
Ringraziamo tutti i partecipanti, anche per le domande. Mi scuso se non siamo riusciti a rispondere a tutte: ne sono veramente arrivate tantissime, ma abbiamo dei limiti temporali molto precisi e quindi mi vedo obbligato a salutarvi tutti e ad augurare a tutti una buona giornata. Grazie a tutti