Giuliana Miglierini intervista Valeria Croce.

Un caso pendente presso la Camera d’appello allargata dell’Ufficio europeo dei brevetti (UEB) potrebbe fornire nuovi spunti di riflessione sul modo in cui durante l’esame di una domanda di brevetto viene valutato lo stato dell’arte, con particolare riguardo al cosiddetto “prior-use” relativo ai prodotti già in commercio, ma non tutelati da brevetto.

La Camera tecnica di appello di UEB ha rinviato alla Camera allargata, a marzo 2023, la decisione su un’opposizione, sottoponendo tre diverse domande intese chiarire proprio le modalità da utilizzare nella valutazione della novità e dell’inventività delle domande brevettuali.

Il caso riguarda un materiale per l’incapsulazione di celle solari; la decisione della Camera allargata, attesa fra un paio d’anni, potrebbe avere un impatto significativo anche sui brevetti in altri settori industriali, tra cui quello chimico, farmaceutico e cosmetico. Ne parliamo con Valeria Croce, consulente e mandataria brevettuale europea presso Jacobacci & Partners.

Che cosa costituisce il prior-use

Uno dei punti centrali del contendere, nel caso pendente, riguarda i criteri per la corretta valutazione dello stato dell’arte su cui basare il giudizio di brevettabilità di un nuovo brevetto. A tale riguardo, la decisione interlocutoria della Camera tecnica di appello rinvia alla ormai datata opinione G 1/92 (vecchia di una trentina d’anni), che affrontava il tema di come considerare, dal punto di vista dello stato dell’arte, un prodotto “reso disponibile al pubblico” in quanto immesso in commercio. A ciò vanno affiancate anche considerazioni sull’art. 54(2) della Convenzione del brevetto europeo (CBE), secondo cui lo stato dell’arte deve essere inteso comprendere qualsiasi cosa resa disponibile al pubblico per mezzo di una descrizione scritta od orale, dall’uso o in ogni altro modo, prima della data di deposito della domanda di brevetto europeo
«La brevettabilità presuppone come principale requisito la novità, cioè che il prodotto o il processo in questione non siano mai stati divulgati. Molti sono inclini a pensare alla divulgazione solo come un atto che avviene per iscritto, tramite una pubblicazione scientifica o una domanda di brevetto. In realtà, la divulgazione può essere anche orale, per esposizione oppure vendita o messa a disposizione di terzi, laddove non fossero state previste clausole di riservatezza - sottolinea a riguardo Valeria Croce -. Il cosiddetto “prior-use”, ad esempio l’esistenza di un prodotto in commercio, è una forma di divulgazione. La domanda da porsi è se siamo certi che mettere a disposizione un prodotto significhi anche rivelarne completamente la struttura, più nel concreto, ad esempio, cosa si trova in un flaconcino o il processo con cui è stato ottenuto un materiale»

L’importanza del rinvio alla Camera allargata 

Al centro del rinvio G 1/23 su cui è stata chiamata a decidere la Camera d’appello allargata dell’UEB vi sono proprio i dubbi su cosa e come possa essere interpretato come prior-use. La normale procedura di valutazione di una domanda di brevetto europeo da parte degli esaminatori segue le regole dettate dalla Convenzione e le linee guida che ad essa si rifanno, di modo da assicurare l’applicazione omogenea dei criteri di valutazione, con l’obiettivo finale di garantire certezza e prevedibilità di giudizio. «In questo modo - spiega Croce - le richiedenti possono valutare in anticipo, prima del deposito di una domanda di brevetto, se l’idea ha una ragionevole certezza di essere considerata brevettabile o meno e, quindi, iniziare il percorso di brevettazione. A partire dalla nascita dell’Ufficio europeo dei brevetti, inoltre, si è creata anche una ricca giurisprudenza, costituita dal corpo di decisioni emesse dalle Camere di appello (Boards of Appeal) di UEB».

Camere di appello che, in particolare, sono il luogo deputato ad una discussione approfondita dei criteri di brevettabilità e, principalmente: novità, inventività e sufficienza di descrizione. «Le Camere di appello hanno avuto e hanno ancora un ruolo importante nel rendere uniformi i criteri di brevettabilità, nonché nel mantenere al passo con l’evoluzione tecnologica la stessa giurisprudenza in materia di brevetti. Pensiamo, ad esempio, alle tecnologie “del momento” come l’intelligenza artificiale: non è necessario sviluppare nuova normativa a esse mirata, ma è possibile attualizzare l’interpretazione della normativa esistente», indica la mandataria di Jacobacci & Partners.

Il numero relativamente elevato (28) di Camere di appello unito alla loro indipendenza (fatto che tutela i richiedenti i brevetti) fa però sì che, in alcuni casi, possano venirsi a creare delle linee di pensiero divergenti sull’interpretazione di alcuni aspetti brevettuali. Per risolvere la questione riportandola a una interpretazione univoca del problema, le singole Camere di appello possono quindi disporre un rinvio chiedendo l’intervento della Camera allargata. «La Camera di appello allargata analizza in modo molto approfondito il caso in oggetto, il punto interpretativo e la giurisprudenza esistente; è anche offerta la possibilità ai cosiddetti stakeholder (associazioni di imprese del settore o singole aziende, associazioni di consulenti brevettuali, gruppi di avvocati) di fornire il loro punto di vista tramite le cosiddette Amicus curiae briefs», spiega Valeria Croce.

Il significato per i settori chimico-farmaceutico e cosmetico

I brevetti rappresentano un asset fondamentale per le aziende del settore chimico-farmaceutico, e coprono tipicamente sia il prodotto (a livello di sintesi, di struttura e caratteristiche e proprietà chimico-fisiche, formulazione, dosaggio, modo d’uso, ecc.) che il processo atto ad ottenere determinate caratteristiche che ne garantiscono le prestazioni volute.

Prendendo in considerazione il requisito di novità necessario per la brevettabilità, va sottolineato come in tutti i settori industriali - compreso quelli chimico, farmaceutico e cosmetico - il continuo flusso d’innovazione che quotidianamente esce dai laboratori non sempre possa risultare brevettabile. «A differenza del campo meccanico, ad esempio, l’innovazione in campo chimico-farmaceutico e cosmetico molto di frequente non è percepibile agli occhi, non è concretamente tangibile, ma va ricercata in aspetti tecnologici molto avanzati - sottolinea Valeria Croce -. Basti ricordare, ad esempio, la struttura chimica di un farmaco, il grado di polimerizzazione di un polimero, una particolare miscela di polimeri, la formazione di forme cristalline, estratti biologici, le formulazioni di colore, le texture e le profumazioni dei cosmetici».

Non è infrequente, inoltre, che il nome o, più spesso, la sigla identificativa di un nuovo prodotto farmaceutico venga divulgata prima della corrispondente domanda di brevetto, ad esempio all’interno della documentazione che va depositata a supporto della programmazione degli studi clinici. Potremmo così apprendere che il composto XYZ-123 inizierà la fase I di sviluppo a partire da gennaio, senza però conoscere la sua struttura precisa o il metodo di produzione: informazioni che rimangono sempre strettamente confidenziali così da non pregiudicare il requisito di novità dell’invenzione.

Immaginiamo un’azienda che sviluppa una formulazione che comprende una componente innovativa che intende brevettare, in quanto contribuisce sostanzialmente all’invenzione grazie a una sua particolare proprietà chimico-fisica. Proprietà che l’azienda si è premurata di appurare e approfondire con studi e analisi tecniche mirate. «Supponiamo che dopo il deposito del brevetto nasca una lite con un concorrente, che afferma che quella stessa componente innovativa era già nota e venduta sul mercato, anche se non brevettata - esemplifica Croce -.La domanda che ci si pone è: le caratteristiche chimico-fisiche che ho sfruttato nella mia invenzione erano già note? Una risposta affermativa può implicare che il mio brevetto sia invalido. Ricordiamoci che per la normativa brevettuale, il trovare una certa proprietà di un materiale senza attribuirvi alcuna utilità o applicazione resta confinato nella “scoperta”, di per sé non brevettabile. Il rinvio pendente aiuterà a comprendere come muoversi al meglio in circostanze simili. Una miscela è nota in quanto esiste sul mercato, ad esempio, ma se la sua composizione non era ancoranota nel dettaglio, potrebbe in teoria essere brevettabile».

Le opportunità e i rischi nella scelta di non brevettare 

Non è infrequente che le aziende, specie quelle di più piccole dimensioni tipiche del panorama italiano, scelgano come strategia di tutela del proprio patrimonio intellettuale quella di non procedere con la brevettazione, puntando piuttosto sul segreto industriale a protezione del proprio know-how.

La normativa sulla brevettazione ha un approccio opposto al mantenimento di tale segreto, in quanto la procedura impone che la domanda di brevetto sull’invenzione venga resa pubblica diciotto mesi dopo il suo deposito, indipendentemente dal fatto che il suo esame si concluda con la concessione o con il rifiuto. «Un’invenzione verrà quindi “rivelata” a prescindere dal fatto che il brevetto sia stato ottenuto o meno - sottolinea Valeria Croce -. Questo aspetto va tenuto in considerazione. I diciotto mesi cadono comunque ben dopo aver ricevuto il Rapporto di ricerca da parte degli esaminatori, quindi una domanda di brevetto può essere ritirata per tempo proprio allo scopo di prevenirne la pubblicazione e non rivelare a terzi l’invenzione. La scelta di non brevettare deve essere sempre affiancata da un’attenta gestione del segreto e delle informazioni sul prodotto».

L'esempio portato dalla mandataria europea di Jacobacci & Partners è quello di un prodotto A caratterizzato da una formulazione semplice e segreta, che per motivi diversi non è stato tutelato brevettualmente dall’azienda che lo ha sviluppato. Il prodotto A non è stato mai descritto in nessuna pubblicazione, ma è stato immesso sul mercato e venduto con successo per anni. Passa una decina d’anni, e la sorveglianza brevettuale messa in atto dall’azienda che produce A rintraccia un nuovo documento brevettuale che protegge un nuovo prodotto B analogo a quello venduto da anni.

«Ci si può chiedere come mai gli uffici brevetti, sia quello europeo che quello statunitense, che hanno esaminato la domanda di brevetto relativa a B non siano a conoscenza del prodotto A - domanda Croce -. La risposta sta nel fatto che, poiché il prodotto A non è mai stato recensito ufficialmente (nemmeno in una domanda di brevetto pubblica) non è sempre possibile reperirne la composizione esatta all’interno di documenti formali scritti».

Poniamo che si tratti di un prodotto farmaceutico o di un cosmetico: l’azienda produttrice di A deve prontamente individuare una strategia adeguata per impedire la concessione del brevetto relativo a B, prodotto che se immesso sul mercato potrebbe toglierle quote importanti e provocarle un danno. «Se A è un prodotto farmaceutico, la sua azienda produttrice potrebbe, ad esempio, fare riferimento alla documentazione regolatoria e ricostruire, tassello dopo tassello, la formulazione e le eventuali caratteristiche note (La composizione quali- e quantitativa, la granulometria della sospensione), oltre alle date di divulgazione, che potrebbero coincidere con la messa in vendita - indica Valeria Croce -. Dando per scontato che tutta la documentazione regolatoria e non necessaria a tal fine (come, ad esempio, anche i quaderni di laboratorio in cui sono descritti gli esperimenti fatti e i risultati ottenuti) sia facilmente reperibile in azienda, potrebbe essere necessario qualche sforzo aggiuntivo per collegare tra loro i diversi documenti, comprese anche le analisi esterne dei lotti di produzione e le fatture di vendita. Nulla di impossibile, ma certo l’onere di provare che il prodotto A era già noto incombe sull’azienda che lo produce. Se ben gestito, ciò che per anni ha funzionato bene come segreto industriale può comunque essere impiegato per opporsi alla brevettazione da parte di altri».

Diverso è il caso in cui il prodotto A non richieda autorizzazioni regolatorie per essere commercializzato, ma piuttosto una gestione del segreto molto più attenta e consapevole. In questo caso, la sua azienda produttrice non può fare riferimento a documenti ufficiali che ne attestino composizione e le date di vendita sul mercato. «Anche se, ad esempio, le banche dati che recensiscono i prodotti cosmetici possono aiutare a ricostruire la composizione qualitativa e/o quantitativa di uno shampoo, un concorrente potrebbe contestare il periodo di vendita effettivo o la “versione” del prodotto. Molto spesso, infatti, certi prodotti evolvono e cambiano formulazione negli anni pur mantenendo lo stesso marchio e lo stesso packaging», indica Croce.

Accorgimenti e suggerimenti utili

Come appare evidente da quanto fin qui discusso, la brevettazione di una nuova invenzione non è sempre e per forza necessaria; la sua opportunità va valutata di caso in caso in base ad un attento esame delle caratteristiche del prodotto, del mercato di riferimento e della concorrenza. «Talvolta la brevettazione non è nemmeno la forma di protezione più appropriata - sottolinea Valeria Croce -. Possono ricorrere, infatti, i presupposti per dovere o volere mantenere un aspetto inventivo come segreto. Quello che, però, è assolutamente necessario è che sia deciso in modo consapevole di gestire come tale un determinato aspetto inventivo». 
Obiettivo molto impegnativo, e che richiede all’azienda che sceglie di perseguire la via del segreto industriale un attento coordinamento di tutte le funzioni coinvolte, dalla ricerca (interna o affidata a enti esterni), al regolatorio, alla produzione e controllo qualità, al marketing, senza dimenticare le collaborazioni con i partner industriali. «Lasciare al caso, agli eventi o rimandare il momento in cui si affrontano le criticità relative alla gestione della protezione della proprietà industriale e intellettuale è sempre negativo e spesso controproducente - aggiunge la mandataria europea -. Se si opta per il segreto industriale, occorre attuare da subito tutte le misure per garantire la riservatezza delle informazioni, che vanno individuate, codificate e rese accessibili a un gruppo ristretto di persone. Inoltre, prevedendo le circostanze di “perdita” o di fuga dell’informazione e i rischi che ne possono derivare, si possono anticipare alcuni comportamenti virtuosi, come ad esempio l’inclusione di apposite clausole di riservatezza nei contratti lavorativi che proteggono in caso di dimissioni del dipendente (soprattutto se di livello elevato). In ultimo, bisogna costruire una strategia a tutela del prodotto o del progetto che parta dal presupposto che quello che noi decidiamo di mantenere segreto possa essere divulgato, protetto e anche pubblicizzato da un nostro concorrente».
Il corretto approccio alla gestione del segreto industriale passa anche dall’evitare di trovarsi nella situazione in cui un concorrente decida di brevettare una tecnologia che si è voluto mantenere segreta. «Può infatti essere molto complesso dimostrare che quella stessa tecnologia fosse già sfruttata e “in circolazione”. I prodotti dei concorrenti vanno attentamente monitorati, così come le pubblicazioni scientifiche a cui partecipano e, soprattutto, le pubblicazioni brevettuali - aggiunge Croce -. In particolare, l’analisi attenta delle collaborazioni che il concorrente ha in atto con i diversi gruppi di ricerca può rivelare un nuovo trend o un nuovo filone in via sviluppo, ancor prima che i brevetti relativi possano emergere. Lo stesso vale per la definizione degli aspetti volutamente mantenuti segreti: è necessario provvedere sempre con metodo e puntualità alla raccolta di tutte le informazioni che li codificano, in quanto questo tipo di attività può risultare importante e talvolta essenziale per dimostrare che si è arrivati prima a un certo traguardo tecnologico. Non bisogna sottovalutare, infine, la difficoltà di dimostrare in sede di disputa legale che un aspetto tecnologico fosse da noi già noto e applicato: la conservazione della documentazione, dei report di analisi, delle comunicazioni ufficiali, anche con le autorità regolatorie, è importantissima».

Il caso pendente presso l’UEB

Il rinvio pendente presso la Camera allargata dell’Ufficio europeo dei brevetti (n. G 1/23 "celle solari”) fa seguito alla decisione interlocutoria T438/19 del 3 marzo 2023 con cui la Camera tecnica di appello ha richiesto il passaggio al livello superiore di giudizio - ai sensi dell’art.112(1)(a) CBE - per risolvere tre diversi quesiti sullo stato dell’arte riferito ai prodotti commerciali e garantire così l'applicazione uniforme del diritto.

Il caso in discussione vede Borealis AG opposta a Mitsui Chemicals e Mitsui Chemicals Tohcello e verte sulla decisione della Divisione di Opposizione di EUB di rigettare l’opposizione relativa al rilascio del brevetto EP 2626911. La rivendicazione principale di tale brevetto descrive un materiale adatto a essere utilizzato per incapsulare celle solari, compresi dettagli riguardo la sua composizione chimica e alcune proprietà chimico-fisiche.

L’opposizione ha riguardato sia punti relativi alla sufficienza della descrizione che elementi inerenti la novità e inventività della stessa. La Camera tecnica di appello ha ritenuto, in particolare, di dover approfondire gli aspetti relativi a novità e innovatività, con particolare riferimento al fatto che un particolare polimero sintetico utilizzato nella formulazione fosse o meno già disponibile in commercio prima del deposito della domanda di brevetto.

A tal fine, ha quindi sottoposto tre diverse domande alla Camera di appello allargata:

  1. Se un prodotto immesso sul mercato prima della data di deposito di una domanda di brevetto europeo debba essere escluso dallo stato dell'arte ai sensi dell'art. 54(2) CBE per il solo fatto che la sua composizione o struttura interna non potessero venire analizzate e riprodotte senza eccessivo onere da parte di una persona esperta prima di tale data.
  2. In caso di risposta negativa alla prima domanda, se le informazioni tecniche su tale prodotto che sono state rese disponibili al pubblico prima della data di deposito (ad esempio, mediante la pubblicazione di un opuscolo tecnico, di letteratura non brevettuale o brevettuale) rappresentino lo stato dell'arte ai sensi dell’art. 54(2) CBE, indipendentemente dal fatto che la composizione o struttura interna non potessero venire analizzate e riprodotte senza eccessivo onere da parte di una persona esperta prima di tale data.
  3. In caso di risposta positiva alla prima domanda o di risposta negativa alla seconda, quali criteri debbano essere applicati per determinare se la composizione o la struttura interna del prodotto potesse venire analizzata e riprodotta senza onere eccessivo, ai sensi del parere G 1/92? In particolare, è richiesto che la composizione e la struttura interna del prodotto siano completamente analizzabili e riproducibili in modo identico?

(Fonte: EPO, Datasheet for the interlocutory decision of 27 June 2023, Case number T 0438/19 - 3.3.03)

Le Camere di appello

Le Camere di appello hanno il compito di verificare le decisioni impugnate nei procedimenti di prima istanza dell'Ufficio europeo dei brevetti, nell’ambito di applicazione della Convenzione sul brevetto europeo (CBE).

Le Camere di appello sono guidate da un Presidente ed esercitano un controllo indipendente sulle decisioni prese dalle altre articolazioni di UEB, quali la Sezione ricevente, le Divisioni di esame, le Divisioni di opposizione e la Divisione legale dell'Ufficio europeo dei brevetti.

Le ventotto Camere tecniche di appello sono di norma composte da due membri tecnici e un membro legale. A esse si aggiungono anche una Camera di appello legale, dedicata agli aspetti più prettamente procedurali, e una Camera di appello disciplinare, incaricata dell’esame di qualifica a mandatario brevettuale europeo e delle questioni relative alla loro condotta professionale.

La Camera di appello allargata ha il compito di garantire l'applicazione uniforme della Convenzione sul brevetto europeo: le sue decisioni riguardano questioni di diritto di fondamentale importanza, che le vengono sottoposte da una Camera di appello o dal presidente dell’Ufficio europeo dei brevetti alle condizioni stabilite dall'articolo 112, paragrafo 1, della CBE. 

(fonte: Ufficio europeo dei brevetti/Valeria Croce)