Nei laboratori fervono le attività di ricerca di soluzioni terapeutiche efficaci contro Sars-Cov-2, che potrebbero passare sia dall'utilizzo di farmaci già noti, sia da prodotti sviluppati ex novo.

L'emergenza sanitaria scatenata dalla diffusione del coronavirus Sars-Cov-2 ha subito messo in moto la complessa catena della ricerca e sviluppo farmaceutica: numerose sono le azioni a livello internazionale per giungere a identificare nuovi farmaci o vaccini in grado di contrastare l'avanzata della malattia (ne abbiamo parlato sul numero di maggio di NCF). Vale la pena, dunque, approfondire cosa dice la legislazione brevettuale in merito allo sfruttamento delle invenzioni in una situazione di emergenza sanitaria. Molti sono i casi che si potrebbero presentare, dall'uso di farmaci autorizzati e ancora protetti da brevetto per i quali venga imposta una licenza obbligatoria, alla possibilità di utilizzare metodi di produzione alternativi - come la stampa 3D - per produrre presidi altrimenti non disponibili sul mercato ecc. Li esaminiamo con l'aiuto di Valeria Croce, mandatario brevettuale europeo e partner di Jacobacci & Partners, con la quale affrontiamo diversi aspetti legati alla gestione dei titoli di proprietà intellettuale e degli accordi internazionali a cui essi sono sottoposti. «Si tratta di questioni molto specifiche, che richiedono una trattazione tecnica - sottolinea Valeria Croce  -.

A volte bisogna dar corso alla legge, che prevede possibilità d'intervento in alcune situazioni di emergenza o di necessità. Non ci si può quindi esprimere, perché non è facile e nemmeno possibile, sul fatto che queste misure siano sufficienti, possano essere più ampie o non risolvano il problema al 100%; occorre lasciare alla sfera privata, poi, conclusioni di tipo etico o morale».

Le norme per gestire le emergenze

Cosa dice, quindi, la legislazione brevettuale relativa alla gestione delle emergenze? L'esperta di Jacobacci spiega innanzitutto che questo tipo di situazione può venire declinata secondo prospettive diverse, di ordine militare o sanitario. Chiaramente, siamo adesso all'interno del secondo caso. «In un momento di emergenza sono previste disposizioni che limitano il diritto di brevetto - spiega Croce -. Ciò vuol dire che viene limitato il diritto di proprietà industriale che ha un'esclusiva in capo al suo titolare, a favore della collettività. Può venir meno l'esclusività offerta dal brevetto, cosicché anche terze persone possano sfruttarlo per mettere a disposizione del pubblico un bene o un metodo per far fronte al periodo di necessità».

L'esperta brevettuale sottolinea come ci siano anche limitazioni allo sfruttamento brevettuale di altro tipo, che prescindono da situazioni di emergenza di tipo sanitario o militare e che vanno comunque considerate, in quanto aventi obiettivi non dissimili.

«Le invenzioni relative alla difesa militare di uno Stato sono assoggettate a una normativa particolare, ad esempio possono essere secretate e ne può essere impedita la divulgazione al pubblico. Esiste una divisione militare in seno all'Ufficio Italiano brevetti e marchi che fa questo tipo di verifica e rilascia un nulla osta. S'intende, in questo caso, che non è stata riscontrata una rilevanza di ordine militare; diversamente, l'invenzione viene secretata. È un tipo di situazione abbastanza facile da comprendere in relazione, ad esempio, agli armamenti o alle telecomunicazioni. Questo canale "speciale" per le invenzioni di natura militare è normato per le invenzioni generate all'interno del Paese Italia e, tramite accordi internazionali e bilaterali, anche per invenzioni che provengono dall'estero e sulle quali è concesso di mantenere il segreto».

Il secondo uso medico

La normativa brevettuale può escludere a priori alcune invenzioni dalla brevettazione. Nel campo farmaceutico, ad esempio, una molecola può essere brevettata in quanto tale, intendendo la sua formula, e può essere tutelato il processo per prepararla.

È anche riconosciuta la tutela al cosiddetto "primo uso medico" a chi abbia individuato, per la prima volta, l'applicazione terapeutica o diagnostica, ad esempio, di una molecola già nota ma per un uso non medico. In alcuni Paesi è anche consentito brevettare un secondo uso medico, cioè una seconda indicazione, ad esempio terapeutica, che possa venire scoperta in tempi successivi. Per fare un esempio pratico, è possibile proteggere mediante brevetto una molecola nota come tensioattivo per l'uso come antinfiammatorio (primo uso medico) e, a distanza di anni, per l'uso oncologico (secondo uso medico).

«In alcuni Paesi, come l'India, invece, non è permesso tutelare il secondo uso medico.

Ciò, probabilmente, sia per tutelare la popolazione non creando un vincolo brevettuale eccessivamente lungo nel tempo, sia per favorire la locale produzione di farmaci. Peraltro, sempre in India, è prevista una procedura per la quale i titolari di brevetti devono depositare una dichiarazione di attuazione (anche per i medicinali) in cui si dichiara se il brevetto è attuato o meno sul territorio del Paese. In assenza di attuazione, c'è la possibilità che venga imposta una licenza obbligatoria da parte del governo in talune circostanze. La licenza obbligatoria in circostanze simili è prevista anche dalla normativa italiana» spiega Valeria Croce.

Altri Paesi, invece, pongono dei vincoli a tutela della cosiddetta "conoscenza tradizionale" (traditional knowledge), campo nel quale rientrano anche le medicine tradizionali, oppure dell'eredità genetica (genetic heritage). «La brevettazione può essere quindi impedita per alcuni settori o per alcune applicazioni mentre, in talune circostanze, la brevettazione può essere ammessa ma possono essere imposti dei vincoli successivi che limitano il diritto del titolare».

La licenza obbligatoria

Valeria Croce sottolinea come a sua conoscenza l'Italia non abbia finora mai fatto ricorso alla licenza obbligatoria su farmaci, e siano anche relativamente pochi i casi nel mondo. Uno di questi si è svolto proprio in India ed è assurto alle cronache: la multinazionale Bayer è stata obbligata dal governo indiano a concedere la licenza obbligatoria per un suo farmaco per il trattamento del tumore al rene. «Si parla di qualche migliaio di dollari al mese per il trattamento di un paziente contro poche centinaia di dollari per il farmaco prodotto dal genericista indiano. Senza entrare nel merito, si è trattato di un caso su cui c'è stato un dibattito molto importante, che ha coinvolto anche l'interpretazione dei trattati internazionali.

A questo livello, infatti, si deve interpretare anche la normativa Trips correlata ai diritti di proprietà industriale. Questa normativa è valida anche in Italia, che l'ha ratificata nel 1994. I Trips indicano che in caso di emergenza sanitaria si può limitare il diritto di un titolare di brevetto attraverso una licenza obbligatoria allo scopo di proteggere la salute pubblica. È così possibile produrre i farmaci richiesti a un costo più contenuto e garantirne l'accessibilità a tutti coloro che ne hanno bisogno. In questo modo è il governo che forza il possessore del brevetto o degli altri diritti di esclusiva a concederne l'uso allo Stato o ad altri soggetti autorizzati dallo Stato». In Italia, racconta ancora Valeria Croce, questo tipo di meccanismo non è mai stato finora attivato, anche se nel 2016 era stata presentata una proposta di legge che aveva come finalità quella di rendere disponibile a prezzi minori un farmaco per la cura dell'epatite C. In un'emergenza si lavora in parallelo lungo diversi scenari, che possono avere un impatto diverso a livello della gestione della proprietà intellettuale.

Gli studi su una nuova applicazione di un farmaco già noto e fuori brevetto, ad esempio, rientrano nel caso su menzionato del primo o secondo uso medico. Per esemplificare, potrebbe essere il caso dei farmaci anti-malarici che sono attualmente in sperimentazione per il trattamento di Covid-19.

«Per poter brevettare è necessario che non si sia mai parlato prima della nuova applicazione medica di un farmaco. Oggi si parla invece molto di questi studi e sperimentazioni, fatto che già farebbe venir meno la possibilità di brevettare. Ipotizziamo anche che chi ci sta lavorando abbia comunque brevettato, circostanza che non si può impedire. Rimane in ogni caso una facoltà del titolare del brevetto di concedere una licenza non esclusiva a titolo gratuito a chiunque voglia produrre il farmaco a vantaggio della salute pubblica. Una cosa non esclude l'altra: la brevettazione di una nuova cura non esclude che chi l'ha brevettata la metta liberamente a disposizione.

Al di fuori del momento di emergenza sanitaria, magari tra 5-6 anni, ci potrebbe essere l'interesse, da parte di una casa farmaceutica, a sfruttare economicamente un farmaco, come tanti altri medicinali che compriamo in farmacia».

Brevettare gli agenti biologici

Non solo farmaci: nella farmacologia del nuovo millennio anche le cellule e altri materiali biologici (come alcuni geni modificati ad hoc con le tecniche di gene editing) sono diventati protagonisti indiscussi dei nuovi approcci di terapia avanzata, grazie alla possibilità di ripristinare attraverso di essi le funzionalità alterate o mancanti dell'organismo che sono alla base della patologia. Molti dei vettori usati per la terapia genica sono proprio virus ingegnerizzati, e ovviamente le aziende proteggono le proprie piattaforme tecnologiche dal punto di vista della proprietà intellettuale.

«È ammessa la brevettazione dei virus. In questi giorni, ad esempio, è circolato molto in rete un brevetto che parla di un coronavirus (EP 3172319B1, ndr): il fatto che sia stato concesso un brevetto non è nulla di scandaloso. Premesso che ragionevolmente non ha nulla a che vedere con la situazione attuale, è una domanda che risale al 2016 e che va a tutelare un virus attenuato, il metodo per la sua preparazione e il vaccino così ottenuto. Il fatto che alcuni aspetti siano più o meno brevettabili in alcuni Paesi dipende da alcune finezze dalla normativa locale, come quelle menzionate prima. Ipotizzando per un attimo, secondo la filosofia dei "complottisti", di produrre un virus per una guerra batteriologica, penso ci siano alcune considerazioni da fare.

Innanzitutto, un brevetto è, per sua natura, un patto fatto con un'autorità, che concede un'esclusiva su un'invenzione a fronte del fatto che questa sia messa a disposizione tramite la pubblicazione della domanda di brevetto dopo 18 mesi e, a scadenza del brevetto, diventi pubblica e liberamente sfruttabile.

Se un virus fosse studiato per scopi bellici, è estremamente difficile che lo si voglia rendere noto, sia attraverso una pubblicazione brevettuale, sia tramite una pubblicazione scientifica. Non escludo che questo tipo di applicazioni possano essere coperte da una qualche forma di segreto brevettuale secondo la normativa del Paese, assimilabile alla secretazione per le invenzioni di tipo militare, o che non vengano nemmeno brevettate».

L'esperta aggiunge come, a differenza di una tecnologia per le telecomunicazioni che potrebbe essere velocemente superata, un prodotto che ha impatto sulla salute pubblica può essere ancora di grande interesse dopo vent'anni, il tempo di durata della protezione brevettuale. «Direi che la brevettazione non è la soluzione ideale alla necessità di mantenere segreto qualcosa di militare. Riguardo al fatto, poi, che una sostanza chimica possa avere un'applicazione medica a una certa dose ma sia tossica a dosi molto più elevate, è chiaro che qualunque medicinale può essere tossico. Va anche sottolineato che a livello europeo, italiano e di molti altri Paesi è negata la brevettazione delle invenzioni che vengano descritte e proposte espressamente, ad esempio, come armi di distruzione di massa, in quanto chiaramente contrarie alla morale e all'ordine pubblico».

Produzioni "alternative" in condizioni di emergenza

Le cronache dei tempi del coronavirus riportano di un'azienda bresciana che ha risolto il problema della mancanza di valvole per i respiratoti dei reparti di terapia intensiva stampando i pezzi mancanti con la manifattura additiva. Anche in questo caso, possono entrare in gioco alcuni aspetti legati alla gestione della proprietà intellettuale in condizioni di emergenza sanitaria.

«Premesso che non sappiamo esattamente le circostanze con le quali sia stato gestito questo caso, non sappiamo se e quali titoli di proprietà industriale fossero in gioco; non sappiamo, ad esempio, se la valvola era effettivamente brevettata o coperta da design; quindi, si possono fare solo delle considerazioni di tipo generale. A prescindere da ciò, il fatto che qualcuno produca un pezzo di un dispositivo tutelato da brevetto al di fuori del consenso del titolare della proprietà industriale configura una contraffazione. Esiste, tuttavia, nella normativa civilistica, la previsione della "forza maggiore", ossia di quelle circostanze imprevedibili e straordinarie come guerre o calamità naturali - o la presente situazione - che vanno a calmierare quest'aspetto, a tutela di una circostanza nella quale effettuare tutti i passaggi burocratici poteva richiedere tempi molto lunghi e non compatibili con le necessità del momento. E, molto importante, dalle informazioni rintracciate, il tutto sarebbe avvenuto non a scopo di lucro.

In un'eventuale causa proposta avverso i produttori delle valvole, questi ultimi potrebbero difendersi in nome del diritto alla salute, costituzionalmente garantito dal nostro ordinamento (art. 32 Cast.) che altro non è se non il corollario del bene supremo della vita umana. Ovviamente, resterebbe da indagare se l'attività posta in essere fosse o meno a scopo di lucro, seppur minimo, e in questo ultimo caso potrebbero essere richieste dal legittimo titolare del brevetto asseritamente contraffatto delle royalty, ad esempio per il prezzo del mancato consenso, come una sorta di licenza ex post», conclude Valeria Croce, che ci tiene a ringraziare per l'ausilio ricevuto su questo punto l'avvocato Elena Prandoni, specializzata in contenziosi in ambito di proprietà intellettuale.