Il regolamento europeo entrato in vigore il 1° luglio 2019 apre nuove opportunità di business per aziende che producono generici e biosimilari ma offre anche molti appigli alle aziende originator per contrastarne l'azione.

Il Regolamento (EU) 2019/933 del 20 maggio 2019 "che emenda il regolamento (EC) 469/2009 sui certificati di protezione supplementare per i prodotti medicinali" (pubblicato in Gazzetta Ufficiale dell'Unione Europea n. L153 dell'11 giugno 2019) è entrato in vigore il 1 ° luglio dello scorso anno: con tale passaggio è giunto al termine il lungo iter che ha portato a sancire la possibilità per i produttori di farmaci generici e biosimilari di derogare ai Pertificati di protezione complementare (il cosiddetto Spc manufacturing waiver) non solo a fini di esportare nei paesi extra-Ue ma anche - a partire da sei mesi prima della scadenza dell'Spc - per la produzione e lo stoccaggio in vista del lancio dal day-1 sul mercato interno. «Dal 1° luglio 2019 è possibile la deroga per i certificati richiesti prima dell'entrata in vigore del regolamento e che avranno effetto in un momento successivo, in quanto la scadenza del brevetto è successiva a tale data e l'Spc inizia ad avere effetto dopo la scadenza del brevetto.

Le regole transitorie implicano che per questi certificati complementari il manufacturing waiver si applicherà dal luglio 2022. In tal modo, si è inteso consentire alle aziende un passaggio graduale alla nuova normativa, dando tempo per confrontarsi con la nuova realtà», spiega Valeria Croce, patent attorney e partner dello studio brevettuale Jacobacci & Partners.

L'importanza della fase preparatoria

In questi primi mesi di vigenza del nuovo regolamento le aziende produttrici di generici e biosimilari stanno avviando tutte le attività indicate dal regolamento stesso, a partire dall'identificazione precisa di tutti i certificati di protezione complementare di possibile interesse.

«C'è un necessario riordino di tutti quegli Spc che vanno a scadenza: un'attività che viene regolarmente svolta dalle aziende che producono generici e biosimilari, e che rappresenta un'ulteriore opportunità di business tenuto conto della nuova possibilità rappresentata dal regolamento», sottolinea Croce. Anche la determinazione del certificato di protezione complementare, che deve essere inclusa nella comunicazione da inviare alle autorità regolatorie e all'originator, è uno dei punti più delicati della fase preparatoria in vista della produzione di un nuovo farmaco generico o biosimilare. «La nuova normativa è un regolamento comunitario, quindi è comune a tutti i paesi dell'Unione europea, tuttavia, la sua applicazione e interpretazione in caso di litigation, avviene a livello nazionale di fronte a tribunali nazionali.

Del resto, anche la stessa concessione di un nuovo certificato di protezione complementare, pur seguendo la normativa comunitaria, avviene da parte dell'autorità nazionale competente (per l'Italia, ad esempio, l'Ufficio italiano brevetti e marchi). L'Ue comprende Paesi che hanno una storia e una cultura che si riflette necessariamente anche sul sistema giuridico e amministrativo», sottolinea l'esperta.

Differenze interpretative e data di lancio

Sono proprio queste differenze interpretative che portano alla concessione di Spc con termini differenti, talvolta anche dal punto di vista sostanziale, e che rappresentano spesso l'appiglio per avviare una causa di contraffazione brevettuale. Valeria Croce spiega che i tribunali competenti per le cause brevettuali dei diversi Paesi hanno spesso interpretato con sfumature differenti elementi quali l'esatta identificazione del prodotto coperto dal brevetto di base, o la data di scadenza stimata dei certificati di protezione complementare. Tali differenze interpretative hanno provocato numerosi rinvii alla Corte di Giustizia europea, al fine di trovare uniformità di giudizio. «Se si analizza un fascio di Spc concessi da diversi uffici nazionali brevetti di Paesi della Ue su uno stesso brevetto di base si può notare anche una differenza nella durata e, quindi, nella scadenza, dell'Spc di uno, due o anche tre giorni», racconta Croce.

A un livello grossolano, tale variabilità può riferirsi, ad esempio, alla diversa interpretazione del termine "scadenza" come ultimo giorno di validità o primo giorno di invalidità dell'Spc. «La data riportata su un certificato va interpretata; le grandi aziende richiedono anche di fornire interpretazioni su di essa, perché il risultato può essere differente tra i diversi Paesi. Anche le aziende produttrici di generici e biosimilari lo sanno: un nuovo prodotto potrà entrare un giorno in un Paese e magari dopo due o tre giorni in un altro, i lanci possono essere sfasati di pochi giorni. Richiedere un parere per più Paesi può essere un costo, ma viene fatto, s'investe su questo».

La patent attorney cita anche l'esempio della sentenza della Corte di Giustizia europea C-471/14 secondo la quale la data dell'autorizzazione all'immissione in commercio (Aie), deve essere intesa come data di notifica della stessa al suo titolare, cosa che di solito segue di tre-quattro giorni la data di emissione. «Questa decisione rappresenta un piccolo ma importante chiarimento ed è ormai stata accettata anche dagli uffici brevetti nazionali. Sono pochi giorni, ma importanti, perché allungano di converso anche la durata dell'Spc. Le statistiche indicano chiaramente che le vendite di un prodotto medicinale si collocano nel periodo di validità del certificato di protezione complementare: qualche giorno in più di esclusività per l'originator rispetto all'entrata sul mercato di un corrispondente generico può voler dire differenze di business molto importanti».

Gli appigli per una causa brevettuale

Sulla base di quanto sopra, è ragionevole attendersi che l'entrata in vigore dell'Spc manufacturing waiver possa ingenerare nei prossimi anni un'ondata di nuove cause che vedranno al centro gli opposti interessi delle aziende originator e produttrici di generici o biosimilari. L'esperta di brevetti cita anche, tra i motivi alla base delle possibili litigation, anche i dubbi interpretativi sulle modalità d'informare sia le autorità regolatorie che l'azienda originator, come previsto dal nuovo regolamento, con tre mesi di anticipo rispetto all'avvio di tutte le attività produttive. «Si devono coinvolgere in questa catena anche tutte le persone contrattualmente correlate alla produzione all'interno dell'Unione europea.

Le notifiche all'autorità competente del Paese di produzione avvengono attraverso moduli standard; fino a che questo passo non viene fatto, è difficile litigare. Il fabbricante assume la responsabilità di fornire le informazioni in un certo modo secondo quanto previsto dal regolamento; certo è che se l'originator vuole trovare la scusa per litigare, probabilmente la troverà in qualcuno degli spazi aperti lasciati dal regolamento stesso, e che non hanno ancora trovato una interpretazione. Ci si può aspettare cause, ad esempio, anche sulla questione di apporre il logo su tutta la produzione destinata all'esportazione: è chiaro che il logo deve essere presente e i prodotti non devono rientrare nell'Ue.

Ci si aspetta che il regolamento venga rispettato da parte dei produttori generici, però è ovviamente interesse delle aziende originator andare a contestare una qualche attività che potrebbe apparentemente uscire dall'eccezione consentita dal manufacturing waiver. Probabilmente a breve s'inizierà a vedere questo tipo di dinamiche».

Un aggiornamento sul brevetto unitario europeo

Nel corso della chiacchierata con NCF, Valeria Croce aggiorna anche brevemente sulla situazione del brevetto unitario europeo, ancora in attesa della decisione finale della Corte costituzionale tedesca. «La Corte presso la quale è pendente la questione ha riferito che ci dovrebbero essere aggiornamenti nel primo trimestre 2020.

Resta aperta anche la questione della Brexit, sulla quale le interpretazioni sono differenti. La questione è rilevante, perché il Tribunale unificato dei brevetti (Tub) sarà responsabile non solo per il brevetto europeo "tradizionale" e per quello con effetto unitario, ma anche per quanto riguarda i relativi certificati di protezione complementare. Le decisioni del Tub saranno valide su tutto il territorio dei Paesi che aderiscono alla corte unitaria».

Attualmente, infatti, il Tribunale unificato vede insediata a Londra la sezione speciale della Divisione centrale specializzata in brevetti chimici e farmaceutici, mentre Monaco è responsabile per i brevetti meccanici e a Parigi vi è la sede centrale del Tribunale di primo grado; il Lussemburgo è invece sede della Corte d'appello e della cancelleria del Tub. «È chiaro, a rigor di logica, che in seguito alla Brexit, la sede di Londra si dovrebbe spostare come già avvenuto per l'Agenzia europea dei medicinali. Milano (che è già sede di una locai division del Tub) è in prima linea a questo riguardo, la sua è una candidatura forte. C'è anche una candidatura più debole di Torino. Per aggiornamenti su questo tema si parla forse di inizio 2021», indica Valeria Croce.

Uniformare la giurisprudenza a livello europeo

Per l'esperta, il momento in cui il Tribunale unificato inizierà a essere attivo dovrebbe rappresentare, nel bene e nel male (a seconda delle parti in gioco e del risultato della litigation), un importante momento d'uniformazione della giurisprudenza a livello europeo.

«Oggi sappiamo bene che i certificati di protezione complementare, così come i brevetti, vengono litigati a livello nazionale con risultati a volte molto diversi, altre volte piuttosto in linea ma con motivazioni diverse. Un caso recente, ad esempio, è quello del pemetrexed, un antitumorale che ha offerto un interessante scenario sulle diverse modalità di interpretazione della dottrina degli equivalenti in ambito chimico in molti Paesi europei», esemplifica Croce, che spiega anche come le cause brevettuali in campo farmaceutico necessitino spesso di valutazioni e analisi di livello tecnico molto alto.

«La copertura brevettuale data ai prodotti farmaceutici è spesso territorialmente molto ampia, e ciò può portare a cause che corrono in parallelo in diversi Paesi con risonanza a livello internazionale. Almeno una delle parti è spesso rappresentata da un'azienda che dispone di budget importanti, possono permettersi di avviare cause molto lunghe in più Paesi e su più soggetti». Il riferimento è tipicamente alle cause brevettuali che sono andate a indagare elementi tecnico-brevettuali tipici del settore chimico e biotecnologico.

«Si tratta di punti di diritto che fanno giurisprudenza, come l'interpretazione delle cosiddette "Swiss type claim" o "product-by-process claim", gli aspetti di novità o inventività dei prodotti più puri, dei polimorfi. Si vanno ad analizzare le peculiarità del brevetto chimico o più in generale del settore life science consentite dalla normativa, tutti punti di diritto che non si riscontrano in altri tipi di brevetti. Anche se non in tutti i Paesi c'è la common law, una decisione importante su un punto di diritto crea in ogni caso un precedente», aggiunge la patent attorney.

Gli altri tipi di protezione della proprietà intellettuale

Il certificato di protezione complementare è un diritto di proprietà intellettuale tipico dell'Unione europea, una forma di prolungamento della protezione brevettuale che non allunga la durata del brevetto sottostante, ma solo limitatamente al prodotto oggetto dell'autorizzazione all'immissione in commercio. La sua introduzione è stata volta a compensare almeno in parte le aziende originator con una maggiore esclusività (al massimo di cinque anni) a fronte del tempo necessario per ottenere la concessione dell'Aic. «Nell'Ue esistono anche altre forme di protezione in campo farmaceutico, ad esempio la "Regulatory data exclusivity" che impedisce per un certo tempo ai produttori di generici e biosimilari di far riferimento ai dati contenuti nel dossier presentato dall'originator.

La "Market protection", invece, impedisce l'ingresso di un prodotto medicinale sul mercato di alcuni paesi per un certo periodo di tempo. Alcune di queste o analoghe forme di protezione sono in essere anche al di fuori dell'Unione europea. In India, un paese molto importante dal punto di vista della produzione farmaceutica, non esiste ad esempio l'estensione della durata conferita dai certificati di protezione complementare e nemmeno forme di Regulatory data exclusivity. In Cina non esiste, al momento, una forma di protezione simile all'Spc. La ratio che sta dietro il manufacturing waiver è anche dettata dal desiderio di migliorare la competitività delle aziende europee. Si tratta di decisioni politiche di più alto livello, che guardano oltre gli interessi di una sola classe di aziende», conclude Valeria Croce.