29 aprile 2024 Allure Miriam Mangieri

Nel mondo della profumeria è sempre più diffuso il fenomeno dei profumi equivalenti, che sono realizzati ispirandosi alle fragranze originali di note Maison. La vendita dei suddetti profumi è lecita ma si possono riscontrare dei profili di illiceità laddove nella commercializzazione del prodotto equivalente si usi il marchio di terzi. Allure ne parla con Miriam Mangieri, Counsel della Jacobacci & Partners.

L’evocazione dei profumi delle note Maison

Il fenomeno dei profumi equivalenti si è diffuso negli ultimi anni guadagnando una fetta di mercato (online e negli store fisici) con la finalità di offrire delle fragranze che richiamino le note olfattive dei profumi più famosi, utilizzando materie prime e oli essenziali molto simili a quelli che compongono i prodotti da imitare. Ovviamente, è facile immaginare che i profumi equivalenti abbiano un prezzo molto più basso delle fragranze a cui si ispirano, dal momento che la vendita di un profumo equivalente non comporta i costi di ricerca e sviluppo sostenuti dalle grandi aziende per la creazione dei propri prodotti, né tanto meno spese di marketing paragonabili a quelle delle grandi Maison.

Il successo di un profumo è infatti dato non solo dalla piacevolezza della sua fragranza ma altresì da aspetti visivi quali il naming specifico che lo contraddistingue, il design del suo contenitore e il packaging accattivante. Tutti questi elementi non si riscontrano nei profumi equivalenti, che puntano principalmente a essere simili alle fragranze note, ricreando dunque una composizione che rimandi alle stesse. Ciò, in particolare, avviene attraverso l’impiego delle tabelle di concordanza che stabiliscono un’equivalenza tra le fragranze in vendita e quelle delle note Maison.

Il confine tra liceità e illiceità nell’utilizzo del marchio altrui

Come accennato, il commercio dei profumi equivalenti è lecito e non può essere vietato, pertanto, le Maison produttrici di noti profumi non possono opporsi e impedire la vendita di tali prodotti. Ciò in quanto non vantano un diritto di esclusiva sulla fragranza olfattiva, ma possono soltanto opporre a terzi i diritti di esclusiva legati al proprio marchio. Questo perché la vendita dei profumi equivalenti avviene con esplicito richiamo e utilizzo a fini commerciali dei marchi delle note Maison, dando luogo a una violazione dell’art. 20 del Codice della Proprietà Industriale che prevede quanto segue: “I diritti del titolare del marchio d’impresa registrato consistono nella facoltà di fare uso esclusivo del marchio. Il titolare ha il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nell’attività economica:

  1. un segno identico al marchio per prodotti o servizi identici a quelli per cui esso è stato registrato”.

Astrattamente, l’impiego del marchio altrui, nell’esercizio dell’attività economica di un terzo, è lecito e non può essere impedito dal titolare ove risulti necessario e purché abbia una funzione meramente descrittiva dei prodotti commercializzati. Tale eccezione al diritto di uso esclusivo di un segno nell’attività economica (che dovrebbe spettare solo al suo titolare) è codificata all’art. 21 del Codice della Proprietà Industriale e presuppone che l’uso da parte del terzo sia conforme ai principi della correttezza professionale e che abbia solo finalità descrittive dell’attività, dei prodotti commercializzati o dei servizi erogati dal terzo che si serve del marchio altrui. Inoltre, l’utilizzo del marchio altrui con finalità descrittive non deve determinare un collegamento né un’associazione di tipo commerciale con il marchio o le attività del suo titolare. Si rende dunque opportuno verificare se l’utilizzo del marchio del terzo (nel caso di specie il marchio delle note Maison) sia ammissibile, rispondendo ai criteri dell’art. 21 sopra citato e costituendo dunque un’eccezione, o se invece si configuri come illecito violando l’art. 20 del Codice di Proprietà Industriale e dunque i diritti di esclusiva del titolare del marchio. Come testimoniato dalla giurisprudenza sul tema, sono molti i casi in cui la commercializzazione di profumi equivalenti con il contestuale richiamo al marchio del terzo si inquadri in una fattispecie illecita. Infatti, una mera descrizione verbale di un profumo che sia fondata sulle sue caratteristiche olfattive, sulla sua composizione o che richiami delle famiglie di profumi non permette al potenziale acquirente di comprendere facilmente le caratteristiche del prodotto. Appare più semplice e diretto, ed è dunque una prassi molto in uso, richiamare il marchio della nota Maison, unitamente al nome della fragranza nota, al quale la fragranza equivalente si ispira. Questo uso del marchio altrui, per vendere prodotti equivalenti, pone dunque delle problematiche che rilevano sul piano giuridico. In primis, un utilizzo generalizzato di un marchio da parte di terzi, senza un’autorizzazione del titolare dello stesso, potrebbe portare a un indebolimento di quel segno distintivo vanificando anche gli effort commerciali e aziendali del produttore della fragranza originale. Si consideri infatti che i marchi dell’industria profumiera, spesso, godono di una particolare notorietà e ciò proprio in ragione degli investimenti effettuati, di conseguenza, della riconoscibilità che guadagnano sul mercato. Occorre ricordare che i marchi rinomati godono di una tutela più ampia e il loro utilizzo da parte di soggetti terzi, ovviamente non autorizzati, può costituire un illecito anche se non sia riscontrabile un rischio di confusione. Si tutela e si valorizza in questo modo anche la funzione comunicativo-pubblicitaria del marchio, ossia la sua capacità di richiamo e di vendita, con la conseguente interdizione ai terzi della possibilità di avvalersene a fini commerciali, sfruttandone le proprietà evocative e suggestive. Si impedisce così ai terzi di sfruttare ingiustamente il selling power di quel dato marchio e dunque la capacità di vendita acquisita dallo stesso e raggiunta a seguito di investimenti in ricerca sviluppo e strategie di marketing vincenti.

Pubblicità comparativa e concorrenza sleale

La possibilità di interdire l’uso del marchio altrui è ravvisabile anche laddove il terzo adotti un disclaimer circa la non originalità del prodotto commercializzato e pubblicizzato, in quanto ciò non esclude l’intento di agganciarsi alla notorietà di quel segno, ma anzi funge da elemento di richiamo per il pubblico dei consumatori e garanzia del possesso delle medesime qualità olfattive del prodotto originale. Ammettere una tale pratica permetterebbe, da un lato, ai terzi (produttori di profumi equivalenti) di avere un vantaggio derivante dal collegamento con il marchio rinomato e, dall’altro, potrebbe avere conseguenze negative per la Maison titolare del marchio che rischierebbe di essere screditata. Citare il marchio altrui solo per agganciarsi allo stesso e catturare l’attenzione dei consumatori rappresenta una condotta contraria anche ai principi di correttezza professionale. Tali pratiche sono altresì vietate dalla disciplina sulla pubblicità comparativa e dalla disciplina della concorrenza sleale per denigrazione o appropriazione di pregi prevista all’articolo 2598 (n.2) del Codice Civile. La pubblicità comparativa, ovvero quella che sfrutta il confronto con una o più marche concorrenti per promuovere un prodotto o un servizio, è ammessa a condizione che il messaggio non induca il consumatore in errore o non danneggi in modo sleale le altre aziende coinvolte. In particolare, per essere lecita la pubblicità comparativa deve essere veritiera, non deve ingenerare confusione con i prodotti di un concorrente né screditarlo e non deve procurare, all’autore della pubblicità, un indebito vantaggio tratto dalla notorietà del marchio del concorrente né presentare il prodotto come imitazione o contraffazione di beni protetti da un marchio altrui. Nel caso delle tabelle di concordanza, paragonare il profumo equivalente a quello di una celebre Maison nella presentazione al pubblico del prodotto lo fa percepire come un’imitazione del brand più famoso, violando dunque anche la normativa ad hoc sulla pubblicità comparativa.

Le tabelle di concordanza

Un’altra forma di illecito che è possibile riscontrare nel caso delle tabelle di concordanza è rappresentata dall’appropriazione di pregi di cui all’articolo 2598 n.2 del codice civile. Questa si verifica quando un terzo si attribuisce i pregi, le qualità, il valore dei prodotti o dell’impresa di un concorrente in modo da diventare preferibile sul mercato rispetto ai prodotti del marchio a cui si paragona. Sono vietati ai sensi della disciplina sulla pubblicità comparativa e dell’art. 2598 n.2 c.c. non solo i messaggi pubblicitari che richiamano esplicitamente l’idea dell’imitazione o della riproduzione, ma altresì quelli che sono idonei a trasmettere implicitamente questa idea al pubblico destinatario come avviene nel caso delle tabelle di concordanza.

Le pronunce giurisprudenziali

Sono diverse le pronunce giurisprudenziali sul tema della violazione del marchio rinomato attraverso la tecnica delle tabelle di concordanza. Si richiamano di seguito alcuni principi enunciati dal Tribunale di Torino (sezione specializzata in materia di impresa) in occasione di un caso che ha coinvolto la società Chanel. Il caso riguardava l’utilizzo da parte di due aziende e di una persona fisica dei marchi della maison francese in tabelle di confronto così da informare il pubblico circa la somiglianza delle proprie fragranze con quelle della nota Maison. Trovava applicazione al caso di specie l’art. 20 del Codice di Proprietà Industriale dato che le tabelle di equivalenza violavano i diritti di esclusiva vantati dalla Chanel sui propri marchi, consentendo dunque alla società francese di vietare ai convenuti l’utilizzo del segno. In particolare, nel caso di specie, secondo il Tribunale, l’utilizzo dei marchi della Chanel nelle tabelle poteva determinare un rischio di confusione e ingannava il pubblico circa la natura, qualità o provenienza dei prodotti e servizi, a causa del modo o del contesto in cui venivano utilizzati. Secondo la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, nel consentire l’uso del marchio altrui per indicare la destinazione di un prodotto o servizio, si subordina la liceità di tale utilizzo alla duplice condizione che essa abbia luogo in funzione non già distintiva ma meramente descrittiva e sia conforme ai principi della correttezza professionale. Questo per scongiurare non solo il rischio di confusione, ma anche quello di semplice associazione tra i segni. Pertanto, al fine di evitare che il riferimento al marchio altrui diventi strumento di indebito sfruttamento della fama spettante al titolare del marchio, l’impiego del marchio altrui può aver luogo solo negli stretti limiti in cui ciò sia indispensabile per indicare la destinazione del prodotto, essendo per definizione contrario alla correttezza professionale ogni uso che travalichi questi limiti.

La contraffazione del marchio olfattivo

In conclusione, la vendita di profumi equivalenti che utilizzano i marchi di note Maison determina un illecito che va a intaccare il selling power del brand e la sua reputazione, oltre a provocare un danno di tipo economico alle aziende produttrici delle fragranze originali che si vedono private di una fetta di mercato. Essendo tale fenomeno particolarmente diffuso online, appare importante porre in essere una strategia di monitoraggio sul web (attuabile tramite strumenti di intelligenza artificiale ad hoc) che permetta di rintracciare tutti gli usi impropri e non autorizzati del proprio marchio, permettendo così anche di rintracciarne l’eventuale richiamo all’interno di tabelle di concordanza per un tempestivo intervento. Inoltre, una tutela maggiore che non si limiti al caso in cui vi sia l’utilizzo del marchio denominativo che identifichi un dato profumo, ma che riguardi anche la sua composizione, si potrà forse avere quando si faranno passi in avanti in tema di marchi olfattivi.

Sebbene infatti la normativa permetta di registrare come marchio “tutto ciò che sia idoneo a distinguere i prodotti o i servizi di un’impresa da quelli delle altre; e a essere rappresentati nel registro in modo tale da consentire alle autorità competenti e al pubblico di determinare con chiarezza e precisione l’oggetto della protezione conferita al titolare”, è ancora discussa la registrabilità dei marchi olfattivi, anche in ragione della loro soggettività (un profumo può infatti essere percepito in maniera differente da nasi diversi). Questo è un tema aperto, che potrà determinare un mutamento di tendenza solo ove vi siano innovazioni tecnologiche che permettano una rappresentazione del segno olfattivo chiara, durevole e obiettiva. Laddove ciò avvenisse, diventerebbe forse più difficile vendere fragranze equivalenti potendosi configurare un’altra tipologia di illecito: la contraffazione del marchio olfattivo.