22 gennaio 2020 HA Factory Francesco Chimini

Un recente studio dell'EUIPO (European Union Intellectual Property Office) ha evidenziato come il fenomeno della contraffazione costituisca il 3,3% di tutto il commercio mondiale. Il 6,8% delle importazioni nell'Unione Europea, vale a dire 121 miliardi di euro all'anno, è costituito da beni contraffatti.

Secondo questo studio, la contraffazione si è diversificata dalle attività tradizionali basate sui beni di lusso e della moda, verso prodotti farmaceutici, elettronici, casalinghi e cosmetici, parti di ricambio del settore automotive, giocattoli, cibo e bevande, prodotti tecnici. I sequestri doganali ai confini dell’UE indicano che i prodotti contraffatti sequestrati sono sempre più in forma di piccole spedizioni e includono grandi quantità di pezzi di ricambio, in particolare per il settore auto, componenti di telefoni cellulari, come schermi e batterie. Le prime 20 economie di provenienza di prodotti contraffatti sono riportate nel grafico tratto dal report dell'EUIPO. Ai primi posti si confermano Hong Kong, Cina, Turchia,
Emirati Arabi ed India. Per quanto riguarda i prodotti più copiati, si assiste recentemente ad un incremento dei prodotti intermedi, quali prodotti elettronici, dispositivi di telecomunicazioni, e loro pezzi di ricambio. Quali sono gli strumenti per combattere la contraffazione? Innanzitutto è opportuno premettere che quando si parla di contraffazione ci si riferisce ad una violazione di un diritto di proprietà intellettuale (IPR, “Intellectual Property Right”). In assenza di tale diritto, è doveroso ricordare che copiare un prodotto non è reato, purché la copia non comporti un atto di concorrenza sleale. Quest’ultima, tuttavia, ricorre solo in presenza di determinati e ben precisi requisiti, spesso difficili da dimostrare. Ad esempio, secondo l’Art. 2598 del Codice Civile, “compie atti di concorrenza sleale chiunque

  1. usa nomi o segni distintivi idonei a produrre confusione con i nomi o con i segni distintivi legittimamente usati da altri, o imita servilmente i prodotti di un concorrente, o compie con qualsiasi altro mezzo atti idonei a creare confusione con i prodotti e con l’attività di un concorrente;

  2. diffonde notizie e apprezzamenti sui prodotti e sull'attività di un concorrente, idonei a determinarne il discredito, o si appropria di pregi dei prodotti o dell’impresa di un concorrente;

  3. si vale direttamente o indirettamente di ogni altro mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale e idoneo a danneggiare l’altrui azienda.”

Affinché ci sia un atto di concorrenza sleale, è dunque necessario dimostrare la malafede del contraffattore, che cerca ad esempio di creare confusione con i prodotti di un concorrente. Se in alcuni casi di prodotti che imitano servilmente i prodotti originali, ovvero che sono copie identiche all'originale, si può parlare di concorrenza sleale, in molti altri casi si ha a che fare con copie “furbe”, che cercano di sostituirsi al prodotto originale ma senza copiarlo servilmente. Si pensi ad esempio a tutti i prodotti non marchiati o con marchio chiaramente diverso dall'originale, che vengono venduti come pezzi di ricambio. Tali prodotti sono tra l’altro molto appetibili sul mercato in quanto hanno spesso costi sensibilmente inferiori rispetto ai prodotti originali essendo prodotti in paesi con costi di produzione molto inferiori e soprattutto non dovendo caricare sui prodotti i costi di R&D che invece l’azienda che ha sviluppato il prodotto originale ha dovuto sostenere.
Il primo passo per combattere la contraffazione è quindi quello di costituire i diritti di proprietà intellettuale, ovviamente se il produttore ha apportato almeno un minimo contributo innovativo rispetto a prodotti analoghi già presenti sul
mercato (lo stato dell’arte). In generale, come noto, gli IPR permettono al loro titolare di vietare a terzi, senza il suo consenso, di produrre e/o immettere sul mercato e/o utilizzare prodotti o servizi oggetto di IPR. Ricordiamo brevemente che gli IPR sono:

  • i brevetti di invenzione industriale o per modello di utilità, che proteggono aspetti tecnici di un prodotto o procedimento;

  • i disegni o modelli registrati, che tutelano l’aspetto estetico di un prodotto o di una sua parte;

  • i marchi registrati, che tutelano i segni distintivi dell’azienda o dei prodotti o servizi dell’azienda;

  • il diritto d’autore, o copyright, che tutela le opere dell’ingegno, inclusi i software;

  • i segreti industriali, o know-how.

Ci occuperemo qui in particolare dei brevetti e dei disegni o modelli registrati. Vale la pena sottolineare, a proposito dei brevetti per invenzione e per modello di utilità, che sebbene vi sia spesso il pregiudizio negli inventori che si possano/debbano brevettare solo invenzioni particolarmente complesse o originali, in realtà la soglia di accesso al brevetto è piuttosto bassa, essendo richiesto solo che la soluzione tecnica non derivi in modo ovvio dallo stato della tecnica.

Tornando ora al tema della contraffazione, i brevetti di invenzione o per modello di utilità sono uno strumento molto potente, in quanto tutelano non solo il prodotto effettivamente realizzato dall’azienda, ma anche tutte le varianti che sfruttano lo stesso insegnamento tecnico oggetto di tutela. Anche qui si deve sfatare il pregiudizio che “è sufficiente cambiare una virgola” per uscire dal brevetto, il quale avrebbe quindi scarsa efficacia. In realtà, mentre la parte descrittiva del documento brevettuale deve essere molto dettagliata in quanto ha una finalità divulgativa, la parte più legale, costituita dalle rivendicazioni, che definisce la portata della protezione del brevetto, è redatta dal consulente brevettuale nel modo più ampio e aperto possibile, così da ricomprendere più forme di realizzazione all’interno dello stesso concetto inventivo. Per fare un esempio, consideriamo un brevetto europeo relativo ad uno dei primi dispositivi aspirapolvere prodotti dall’azienda Dyson Technology Ltd. La rivendicazione 1, che definisce l’ambito di tutela del brevetto, ha una
formulazione molto ampia, che recita:
1. A surface treating appliance comprising a main body ( 12) and a head (14) rotatably connected to the main body (12) about an axis (Y-Y), the main body (12) and the head (14) being provided with first and second electrical connectors (76, 78) respectively, the first and second electrical connectors (76, 78) being connectable to provide an electrical connection between the main body (12) and the head (14), characterised in that one of the first and second electrical connectors (76, 78) is slideable within a channel (80).

In pratica, il brevetto tutela un apparecchio che comprende un corpo principale ed una testa rotante attorno ad un asse. Corpo e testa sono elettricamente collegati tra loro per il tramite di due connettori elettrici. Uno dei due connettori
elettrici è scorrevole in un canale. In tal modo, il collegamento elettrico è garantito anche durante la rotazione della testa. Qualsiasi dispositivo per il trattamento di una superficie che ha una testa rotante ed un connettore elettrico scorrevole in un canale ricade nell'ambito di tutela del brevetto. La protezione conferita dal brevetto è quindi molto ampia. Un analogo discorso può essere fatto anche per le registrazioni di disegno o modello.

La registrazione non protegge infatti solo contro la copia pedissequa del disegno o modello depositato, ma anche rispetto a disegni o modelli non identici ma che suscitano nell'utilizzatore informato una stessa impressione generale, come nell'esempio riportato nell'immagine con le due pistole. In questo caso la pistola di verniciatura a sinistra differisce da quella a destra per alcuni dettagli che non sono stati ritenuti sufficienti a conferire al modello di sinistra un’impressione generale diversa da quella del modello a destra.

Abbiamo quindi visto che brevetti e registrazioni di disegno o modello offrono ai loro titolari il diritto di escludere terzi dal produrre, commercializzare ed utilizzare prodotti che utilizzano una stessa soluzione tecnica, anche se non necessariamente implementata nello stesso modo, o che presentano una stessa impressione estetica, anche se non identici. Senza dilungarsi in ulteriori tecnicismi, vale anche la pena ricordare che, per quanto riguarda la contraffazione di un brevetto, essa sussiste non solo quando il prodotto in esame riproduce esattamente le stesse caratteristiche tecniche oggetto di una rivendicazione indipendente (contraffazione “letterale”), ma anche quando una o più di tali caratteristiche sono diverse, ma possono essere considerate equivalenti tra loro (contraffazione “per equivalenti”). È comunque opportuno lasciare al consulente brevettuale la verifica dell’effettiva contraffazione del brevetto.

Ma come possono essere fatti valere questi diritti di esclusiva?
Innanzitutto, il solo fatto di comunicare, sui prodotti stessi o sul packaging e nella comunicazione commerciale, l’esistenza di privative industriali, costituisce un effetto di deterrenza che è spesso sufficiente a scoraggiare i competitors dal cercare di copiare il prodotto protetto.

Se viene rilevata una contraffazione in un territorio in cui è in vigore una privativa industriale, una prima opzione per cercare di arrestare immediatamente l’illecito è l’invio di una diffida. Se la privativa è solida dal punto di vista della sua validità (ad esempio è un brevetto ottenuto a seguito di un esame dei requisiti, o è ancora una domanda di brevetto, ma che ha ricevuto un rapporto di ricerca favorevole) e la contraffazione è evidente, allora la diffida può risolversi con un
impegno da parte del contraffattore a cessare immediatamente l’atto illecito.

Va tuttavia riconosciuto che il presunto contraffattore non è obbligato a rispondere alla diffida e spesso non dà alcun riscontro o risponde negando la contraffazione e/o sostenendo che il brevetto o modello non è valido.
In questi casi è quindi necessario agire per via giudiziale. La legge brevetti prevede, in quasi tutti i paesi, almeno due opzioni: i procedimenti cautelari e la causa di merito. I procedimenti cautelari (descrizione, inibitoria, sequestro) possono essere richiesti al giudice solo in presenza di determinati requisiti, ovvero una presunzione di validità della privativa da azionare (fumus boni iuris) e una dimostrazione che il tempo necessario per arrivare alla conclusione del giudizio potrebbe rivelarsi pregiudizievole per il proprio diritto (periculum in mora). Il procedimento cautelare ha una durata molto breve, di settimane o pochi mesi, a seconda della complessità della controversia.

La causa di merito ha una durata media, per il primo grado, di due/tre anni. Sebbene i costi ed il dispendio di energie, tempo e risorse, di queste procedure non sono trascurabili, soprattutto per le PMI (lo studio dell’EUIPO
sopra menzionato ha calcolato che per le PMI il valore medio di tutte le spese per rilevare e combattere la contraffazione è di circa 80-100.000 euro all’anno), va sottolineato che solo una piccola percentuale delle cause iniziate arriva a
sentenza: nella maggior parte dei casi, all’esito o durante la CTU, quindi nei primi mesi della causa o del procedimento cautelare, si può già intuire l’andamento della controversia e le due parti trovano un accordo. Va inoltre sottolineato che in alcuni Paesi, in particolare in Italia, sono stati istituiti tribunali specializzati nella gestione delle controversie aventi ad oggetto privative industriali, per cui il contenzioso è particolarmente rapido ed è affidato a giudici e consulenti tecnici molto competenti in materia.

Nei casi in cui la contraffazione provenga da paesi extra-UE, risulta efficace (oltre che economico) anche il ricorso alle agenzie doganali. Dal punto di vista pratico, è necessario fornire alle agenzie copia delle privative industriali e le informazioni necessarie ad individuare i prodotti sospetti. Se ben istruite, le agenzie doganali sono molto collaborative nel bloccare la merce sospetta per permettere la verifica dell’effettiva contraffazione e quindi il fermo definitivo. Solitamente viene avviato d’ufficio dalla procura informata del blocco dei prodotti contraffatti un procedimento penale.