Nel campo Life Science l’IA rappresenta un prezioso strumento per generare insight e orientare le decisioni di medici e ricercatori.
Dal punto di vista normativo e brevettuale è necessario sempre tener presente che le procedure sono concepite dall’intervento umano.

L'intelligenza artificiale (IA) è uno degli assi portanti del terzo millennio e dei processi di trasformazione digitale della società e delle attività industriali che stanno caratterizzando l’attuale momento storico. Le sue radici affondano negli anni ’50 del secolo scorso e, da allora, lo sviluppo dei sistemi informatici “intelligenti” è stato sempre più impetuoso, fino a diventare una vera e propria disciplina a sé stante che abbraccia oggi, sotto un ampio ombrello, un insieme multi-variegato di applicazioni e accezioni diverse.

Tra queste, un ruolo di primo piano fa riferimento al campo delle scienze della vita: dal drug discovery alla profilazione genetica, dalla diagnosi per immagini alla prescrizione della terapia più indicata al singolo paziente, molti sono i possibili esempi di utilizzo dell’intelligenza artificiale quale strumento a supporto della medicina. Dal punto di vista brevettuale, sono molte le sfide da affrontare per proteggere l’innovazione in questo campo.

Ne parliamo con gli esperti di Jacobacci & Partners, Valeria Croce e Stefano Brunazzi.

Gli aspetti di paternità dell’invenzione

Uno degli elementi più peculiari in tema di brevettabilità dell’intelligenza artificiale è rappresentato dall’impossibilità, sulla base dell’attuale normativa, di riconoscere nell’IA stessa la figura dell’inventore. «È una criticità al centro del dibattito, al momento questa possibilità è negata sia dall’Ufficio brevetti europeo (EPO) che da quello americano», spiega Valeria Croce. «Il brevetto deve recare l’indicazione di una persona umana quale inventore, che di solito è identificata in coloro che hanno elaborato la metodologia». «Nella realtà concreta, c’è sempre un intervento umano. Anche se la macchina ha il suo grado di autonomia, l’intera procedura è concepita da persone e dunque il fatto di indicare come inventori le persone che hanno ideato e curato la realizzazione della metodologia risulta di solito fattibile e coerente», conferma Stefano Brunazzi. Come anche per i software, gli algoritmi di IA in quanto tali non possono venire protetti da brevetto, per quanto complessi possano essere. «Potrebbero, infatti, venire utilizzati in tanti ambiti diversi, motivo per cui si è deciso di mantenere l’algoritmo di per sé di comune utilizzo. Non si può brevettare una rete neurale, per esempio, esattamente come non si può brevettare una formula o un’equazione», aggiunge l’ingegnere elettronico. Sì, invece, alla brevettabilità dei metodi di prognosi di una malattia, o di previsione delle proprietà biofarmacologiche di molecole, che rappresentano esempi di applicazione pratica dell’intelligenza artificiale. Metodi che si basano sull’esecuzione di una serie di passi successivi (addestramento, input, elaborazione, output), alcuni dei quali possono prevedere quale caratteristica essenziale e distintiva anche attraverso il ricorso all’IA. «I criteri di brevettabilità sono analoghi a quelli usati per le cosiddette computer implemented invention, una categoria ancor più ampia di metodi all’interno dei quali ricadono anche elaborazioni più tradizionali dei dati. Gli uffici brevetti hanno ormai consolidato criteri d’esame abbastanza chiari per quanto riguarda l’IA. Tra i requisiti, per esempio, la metodologia deve essere definita in modo auto- consistente, cioè indicando tutti i passi necessari.

Come per tutte le invenzioni, poi, devono essere indicate le caratteristiche che distinguono la nuova rivendicazione dall’arte nota. Una richiesta particolare per le computer implemented invention (e ancora più per l’IA) è che i passi caratterizzanti presentino una chiara correlazione coi risultati ottenuti, onde conferire quello che in gergo si dice “effetto tecnico” atto a risolvere un problema tecnico», spiega Stefano Brunazzi. «Un brevetto IA in ambito Life Science può fornire un vantaggio competitivo sostanziale. Da un lato si tratta di innovazioni che migliorano metodi o processi già esistenti, dall’altro possono costituire veri e propri “trovati”, rappresentati, per esempio, da servizi offerti ad altre aziende o direttamente a potenziali pazienti. Tutto ciò spiega il crescente interesse per queste nuove applicazioni», sottolinea Valeria Croce.

Come approcciare la scrittura del brevetto

I brevetti in tema di intelligenza artificiale sono molto complessi, e, ove coinvolgano applicazioni in altre discipline (per esempio nell’ambito delle scienze della vita), richiedono l’interazione di competenze diverse e tra loro complementari. In tali brevetti, inoltre, è necessario definire rivendicazioni che riflettano il giusto compromesso tra la generalità (elemento tipico di ogni brevetto, necessario a una tutela il più ampia possibile) e una definizione dettagliata e auto-consistente. «Nella definizione dell’ambito di tutela del brevetto, tutti i passi essenziali devono essere descritti con un livello di dettaglio sufficiente a distinguersi dall’arte nota.

I punti su cui trovare aspetti nuovi e inventivi variano da caso a caso», sottolinea Brunazzi.

Ipotizziamo, per esempio di partire dai dati grezzi contenuti in un database clinico, come potrebbero essere i registri di pazienti per una certa malattia: prima ancora di applicare l’IA, può essere utile o necessario preparare un input di formato e contenuto adeguato ed efficace per l’elaborazione da parte dell’algoritmo. «In questo caso, il brevetto potrebbe incentrarsi sulle fasi di pre-elaborazione, che lo distinguono da altri metodi. In altri casi di applicazioni di machine learning, invece, potrebbero essere caratterizzanti le tipologie di elaborazione, l’algoritmo utilizzato o la metodologia di addestramento. Aspetti innovativi potrebbero anche essere riscontrati sull’intera catena di processo, fino all’eventuale post-elaborazione volta a rendere disponibili i dati utilizzabili in modo più immediato dal medico. Uno o più di questi passi dovranno essere caratterizzati da dettagli tali da rendere il brevetto nuovo e inventivo», spiega Brunazzi.

Per quanto riguarda la descrizione, come per tutti i brevetti, essa deve contenere almeno un esempio di applicazione dettagliata del metodo, necessaria per rispondere al requisito della sufficienza di descrizione. Questa parte deve contenere anche indicazioni sui dati (la fonte, come li si è elaborati, etc.) di modo che i contenuti del brevetto possano venire replicati dall’esperto del settore. Con riferimento ai dati necessari per lo sviluppo di algoritmi di IA in ambito Life Science, si ripropongono anche tutte le considerazioni relative alla protezione dei dati personali e al valore di tali dati che valgono in generale per questo settore disciplinare. Si tratta di tematiche molto importanti e più che mai attuali, che vanno ben oltre gli aspetti tecnico-brevettuali e il contesto dell’IA, ma che è opportuno menzionare in quanto vanno opportunamente affrontate, con l’opportuno supporto legale e specialistico, da chiunque sviluppi una nuova applicazione d’intelligenza artificiale, per assicurarsi di acquisire e usare tali dati nel pieno rispetto delle regole e delle norme vigenti.

L’IA rimane uno strumento

Cosa ci riserverà, quindi, il futuro? Il rischio di vedere, in tempi non troppo lontani, scenari in cui l’intelligenza artificiale prenda il sopravvento sulle decisioni autonome degli esseri umani non è poi così remoto. Basti pensare al computer HAL9000 di 2001: Odissea nello Spazio, giusto per fare un esempio, che ai tempi dell’uscita del film era “fantascienza”, oggi molto meno. Un’eccessiva dipendenza dagli algoritmi potrebbe anche portare il genio umano a perdere quel certo “non so che” di creatività e inventività che lo ha sempre contraddistinto. Le tecniche di IA, è una delle possibili critiche, potrebbero anche male elaborare o interpretare i dati che vengono a esse sottoposti, per esempio a causa di bias interpretativi che potrebbero risultare fuorvianti, se non del tutto errati. «L’intelligenza artificiale è uno strumento al servizio dell’intelligenza umana e deve essere sempre accompagnata dall’intelligenza “naturale”, che ha un occhio critico. Mi piace riportare una frase sentita, che offre spunti di riflessione, secondo la quale l’IA non sostituirà il medico, ma i medici che faranno uso dell’IA sostituiranno quelli che la rifiutano o che non la sanno usare», commenta Valeria Croce. «Questo è un argomento di straordinario interesse - aggiunge Stefano Brunazzi - L’IA è uno strumento eccezionale, ma il cui uso può comportare rischi di diversa natura, anche gravi. Per esempio, in ambito di IA, non conosciamo esattamente i dettagli su come opera un algoritmo di “machine learning” addestrato all’interno della black box di elaborazione; è perciò importante sviluppare strategie di controllo umano dell’intero processo. Inoltre, in quest’ambito, errori umani di pianificazione dell’addestramento possono riflettersi in errori rilevanti, e per di più poco prevedibili, nei risultati forniti dalla macchina. Nell’IA, infatti, l’affidabilità dei risultati dipende criticamente dai criteri e dalla qualità dell’addestramento. Se addestriamo l’algoritmo con informazioni non precise, classificate male o insufficienti, oppure affette da qualche tipo di bias (anche involontario), l’IA deciderà sulla base dell’addestramento e dei criteri da noi forniti, con risultati che alla fine potrebbero essere non corretti, e della cui inaffidabilità potremmo essere inconsapevoli.

Da qui, l’esigenza di sviluppare e applicare strategie di verifica umana, ad alto livello, del processo di elaborazione mediante IA. Si potrebbero citare altri esempi, al proposito, ma penso che quanto sopra basti a spiegare perché vi sia oggi un crescente consenso sul fatto che l’uso dell’IA debba essere gestita in una prospettiva ampia, che va al di là degli sviluppi puramente tecnici, coinvolgendo aspetti giuridici, deontologici ed etici, che peraltro possono essere affrontati solo disponendo di una conoscenza almeno basilare del contenuto tecnico-scientifico dell’intelligenza artificiale».

Machine learning per le scienze della vita

Gli algoritmi di machine learning, o algoritmi addestrati, rappresentano l’applicazione più diffusa dell’intelligenza artificiale nel campo Life Science. «Si tratta di una tecnica che va oltre la semplice restituzione di un risultato in base a un calcolo analitico effettuato mediante un sistema di equazioni o di una serie di passi deterministici - spiega Stefano Brunazzi. - L’elaborazione è condotta almeno in parte in modo autonomo dalla macchina, che implica una riconfigurabilità dell’algoritmo basata su una fase preliminare di addestramento».

La fortuna del machine learning nell’ambito delle scienze della vita, spiega l’ingegnere elettronico, è legata al fatto che tali scienze riguardano sistemi biologici complessi che, al contrario della fisica di base, non sono facilmente riconducibili a formule ed equazioni analitiche, per quanto complesse esse possano essere, e da sempre sono studiati sulla base di elaborazione di modelli basati su dati empirici. «Gli algoritmi addestrati basano il loro apprendimento sui dati empirici disponibili per questo tipo di discipline. In ambito clinico, farmacologico o medico, dal punto di vista tecnico è possibile accedere, fatto salvo il rispetto delle normative sulla confidenzialità, a grandi quantità di dati di diversi tipi, che consentono un opportuno addestramento degli algoritmi. Inoltre, anche gli output tipicamente attesi in questo ambito, per esempio una prognosi o la bioattività di una certa molecola, sono esprimibili in termini di risultati discreti di tipo “sì/no”, o con un numero finito di possibili output, cioè proprio i risultati che gli algoritmi di machine learning sanno fornire efficacemente». Valeria Croce spiega come occorra distinguere sanità digitale e telemedicina dall’intelligenza artificiale vera e propria. «Sono strumenti che fanno uso di tecnologie informatiche e di telecomunicazione per trasportare e condividere in modo semplice delle informazioni.

Si pensi, per esempio, al paziente che necessita di comunicare in modo rapido e snello con un medico senza la possibilità di avere un incontro di persona. Il medico che riceve l’informazione può trasferire il dato ricevuto a uno strumento di IA, ma la comunicazione in quanto tale non può essere definita propriamente come uso dell’IA. È chiaro che i sistemi di sanità digitale possono fare riferimento a un sistema di IA che sta dietro le quinte». Le possibili applicazioni nelle discipline delle scienze della vita sono davvero moltissime. Tra gli esempi più significativi figurano i metodi predittivi di prognosi, in cui l’input è rappresentato di un set di dati che si ritiene essere legati a una certa malattia.

«Si può trattare, per esempio, di dati fenotipici, fisiologici o biometrici, che una volta elaborati restituiscono una previsione sulla probabilità di insorgenza o gravità della malattia», spiega Stefano Brunazzi. I metodi di analisi genetica o genomica analizzano, invece, le varianti o anomalie nel codice genetico che possono determinare la comparsa di malattie. «Talvolta queste varianti sono più di una, e presentano correlazioni tra loro imprevedibili in modo deterministico», aggiunge l’esperto. Sempre sul fronte prognostico/diagnostico, infine, l’IA permette di elaborare immagini con una potenza incredibilmente superiore rispetto all’occhio umano.

«La diagnostica per immagini diventa così più precisa e accurata», aggiunge Croce.

Alla scoperta di nuovi farmaci

Tra i passi avanti portati dall’avvento dell’intelligenza artificiale in campo farmaceutico bisogna sottolineare come questa abbia profondamente innovato anche il modo con cui s’individuano i nuovi potenziali principi attivi nelle fasi di drug discovery. La capacità di analizzare un gran numero di strutture chimiche diverse rispetto, per esempio, alla loro affinità per un certo recettore bersaglio permette di velocizzare in modo sostanziale i tempi necessari a individuare quelle caratterizzate dalla proprietà farmacologica desiderata. «L’intelligenza artificiale consente di disegnare molecole chimiche con una certa struttura generale, uno scaffold, noto per interagire con un recettore tridimensionale dando un certo effetto. Grazie all’intelligenza artificiale, diventa più semplice individuare famiglie di composti strutturalmente molto diversi tra loro, ma che presentano strutture che, dal punto di vista tridimensionale, sono adatte a legarsi al recettore.

L’uomo è in linea di principio certamente capace di effettuare le sperimentazioni, i calcoli e le elaborazioni che consentono di arrivare a questi stessi risultati, solo che il tempo richiesto per fare tutto ciò sulle quantità di dati trattati dalla IA sarebbe talmente elevato da renderlo, di fatto, non praticabile», spiega Valeria Croce. «Anche la previsione della bioattività delle sostanze chimiche candidate, di determinati aspetti di efficacia o di tossicità, può essere ottimizzata in maniera simile grazie all’impiego dell’Intelligenza artificiale.

Questi metodi sono particolarmente utili per la scrematura iniziale di tanti candidati, in modo tale da individuare quelli più promettenti da avviare allo studio sperimentale. Un buon esempio d’interazione positiva, in cui l’intelligenza artificiale fornisce un contributo insostituibile e complementare alla sperimentazione tradizionale», sottolinea a conclusione dell’intervento Stefano Brunazzi.

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