26 novembre 2018 SPRINT Patrizio de Ferri

Cambiano i mercati, i prodotti, i servizi, le modalità di pagamento nonché l'idea di proprietà dei beni e il relativo sfruttamento. I cambiamenti che la storia registra, se analizzati con uno sguardo d'insieme, nascondono sempre un'interconnessione tra innovazione e cultura, l'una che stimola e influenza l'altra in un processo che non termina mai e che accompagna l'evoluzione della società globale.
I cambiamenti, come sappiamo, non sono sempre positivi, dipende spesso dal punto di vista. Ma i cambiamenti sono quasi sempre dettati da un'esigenza che va soddisfatta. Potrebbe trattarsi di un'esigenza derivante, ad esempio, da eventi climatici, bellici o economici; il ponte che porta al cambiamento è l'innovazione.

Un concetto ampio quello d'innovazione, che si presta a varie interpretazioni ed applicazioni. L'OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) definisce l'innovazione come: "l'implementazione di un prodotto (bene o servizio) nuovo o significativamente migliorato, oppure un processo, un nuovo metodo di marketing, o altrimenti un nuovo metodo organizzativo di business, luogo di lavoro o relazioni esterne" [1] .
Sono quindi 4 le macro-aree d'applicazione dell'innovazione secondo l'OCSE: i prodotti, i processi, il marketing e i metodi organizzativi (aziendali). Alla base di tutto ciò c'è un'esigenza, una necessità da soddisfare, al netto di alcuni casi che hanno anche il merito di aver "innovato l'innovazione", come il caso Instagram, almeno nel mondo dei social network, in cui, quasi a mo' di "teoria della distrazione di massa", si crea, ex novo, una necessità a cui poi si dà risposta.

Ma c'è un dato positivo che può ricavarsi: a volte, creare una necessità che può essere ritenuta effimera, alla quale si dà una risposta altrettanto effimera in termini di prodotto, può, comunque, creare nuove possibilità, nuove opportunità di business e quindi contribuire a sviluppare nuove competenze.

Ci sono poi casi in cui, più di tutti, si è meglio saputo rispondere alla sfida dell'innovazione, sotto diversi punti di vista, conquistando oggi posizioni di mercato molto rilevanti: e.g. Amazon, MSC Crociere, ebay, Netflix, Apple, ecc..

Come da definizione OCSE, non sempre, ma spesso, dietro l'innovazione c'è una nuova tecnologia, un'invenzione o un'idea e questo non cambia se si parla di OPEN Innovation, cambiano però i modi di ottenimento della tecnologia e di sfruttamento della stessa, così come cambiano i contesti esterni ed interni dei processi di OPEN Innovation.

Henry Chesbrough, noto economista, coniatore della stessa denominazione, ha fornito la seguente definizione: "OPEN Innovation is the use of purposive inflows and outflows of knowledge to accelerate internal Innovation, and expand the markets for external use of Innovation, respectively. [This paradigm] assumes that firms can and should use external ideas as well as internal ideas, and internal and external paths to market, as they look to advance their technology" [2].

Queste parole racchiudono le riflessioni di Chesbrough sul concetto dell'interscambio, dell'apertura all'esterno, ma davano per scontato una necessità base scatenante; non nei soli processi di innovazione aperta, ma nell'intero processo di OPEN Innovation per sé, ovvero il risparmio.

Infatti, alla base di tutto c'era, in Chesbrough, la consapevolezza che l'innovazione e la ricerca, già nel 2003, erano diventate finanziariamente insostenibili alla luce dei cambiamenti socio-economici derivanti dalla globalizzazione.

La ricerca non porta sempre ai risultati sperati, anzi, a volte non porta ad alcun risultato, ma necessita comunque di essere finanziata e, più l'oggetto di ricerca è complesso, più i finanziamenti sono onerosi e difficilmente sostenibili. la competizione globale e la propria intrinseca difficoltà di fidelizzare il consumatore creano un ecosistema che non garantisce mai stabilità e crescita costante, anche a causa dell'interconnessione tra industria e finanza, che cozza fortemente con la possibilità di competere nei mercati e contestualmente far fronte a voci di budget dedicate alla ricerca.

I contesti che hanno sofferto meno la crisi finanziaria globale nata nel 2008 hanno potuto gestire l'introduzione dei sistemi "OPEN" con più calma e hanno potuto avvantaggiarsi dei fallimenti e tentativi altrui, ma oggi tutto il mondo deve fare i conti con la necessità di fare sempre più innovazione, sempre meglio e ottimizzando al massimo le risorse economiche.

Per realizzare tutto ciò occorre collaborare con l'esterno, l'impresa deve costruire una rete di collaborazioni e partnership con il mondo produttivo, della ricerca, finanziario e istituzionale.

Vari sono i possibili partner che possono essere coinvolti e le collaborazioni da instaurare, al centro delle quali vi sono due priorità: (i) la tecnologia, o a volte solo l'idea non proteggibile, e (ii) l'ottimizzazione economica.

Si cerca quindi di ottenere delle tecnologie in modi alternativi, condividendole a volte, facendole realizzare da terzi, acquisendo il controllo di società che le realizzano, esternalizzando parte dei processi produttivi, anche nel mondo delle PMI, ma soprattutto con le start-up. Invero, esistono diversi soggetti che contribuiscono al funzionamento dell'innovazione "aperta", dai centri di ricerca universitari, a quelli privati, Acceleratori, Incubatori, Istituzioni e finanziatori privati, tutti partecipano e condividono competenze generando processi d'innovazione.

Il ruolo della proprietà intellettuale nell'Innovazione "aperta"

Se l'innovazione è il motore dello sviluppo, la Proprietà Intellettuale ne è la tutela che lo accompagna, lo garantisce e spesso lo deve anticipare. Se questo è sempre stato vero nelle dinamiche di innovazione "chiusa", ovvero in quel modello di innovazione tradizionale che vede la ricerca come un'attività prettamente interna all'azienda, viene da domandarsi cosa cambia sul versante della Proprietà Intellettuale nel passaggio dall'innovazione chiusa a quella aperta.

Di fatto non si registrano particolari cambiamenti, se non che un tale contesto dovrebbe creare migliori condizioni per la fruizione di tecnologie e relativo sfruttamento economico. Infatti, la ricerca all'interno dell'azienda comporta spesso che non tutti i ritrovati brevettabili, o altrimenti tutelabili, vengano protetti, basti pensare alle tasse di mantenimento del brevetto, oltre che ai costi da sostenere per il continuo aggiornamento delle attività di ricerca.

Attività che spesso, a seguito dell'intervento di altri dipartimenti aziendali, quali quello finanziario e di marketing, non trovando riscontro nelle politiche aziendali di vendita, distribuzione ecc., o nel contesto del mercato del momento, vengono abbandonate, facendo sì che le tecnologie sviluppate rimangano nel controllo dell'azienda, ma senza generare profitti e incidendo sui costi.

Il sistema di innovazione aperta ha il potenziale di dare risposte a tutto ciò. Infatti, in molti settori industriali si sta sviluppando quel processo di condivisione di tecnologie e competenze che consentono all'azienda A di licenziare o cedere una determinata tecnologia, ovvero un certo know-how, a fronte di royalties o di altra tecnologia/titolo IP che l'azienda B possiede e che non sta sfruttando.

Questo processo, come abbiamo visto, può avvenire tra aziende, o tra altri partner, contribuendo all'aumento di rapporti contrattuali di varia natura, commissioni, cessioni, licenze incrociate, accordi di riservatezza o di contitolarità. Tutti strumenti volti ad agevolare, entro i confini normativi nazionali o internazionali, l'ottenimento del risultato.

Il mondo professionale dell'IP deve essere pronto a fornire delle risposte a richieste di tutela nuove o meno convenzionali in tempi sempre più contratti, che rispecchiano l'andamento industriale globale.

Le attività di tutela, in termini di nuovi depositi di titoli IP, dovrebbero comunque subire riflessi positivi in questo contesto, ma occorre relazionare la maggior produzione e trasferimento di tecnologia, con il fatto che la tutela di Proprietà Intellettuale è sempre più volta ad un sistema collaborativo e di condivisione piuttosto che a schemi di natura protettiva che caratterizzavano il sistema dell'innovazione chiusa.

Esiste poi un altro importante versante del processo innovativo, ovvero il sistema dei finanziamenti della ricerca e dell'attività produttrice (di prodotti e servizi), oltre che la tematica della valutazione economica dei titoli IP, attività di sempre più attuale interesse, ma che merita un approfondimento dedicato.

Tornando al sistema OPEN, occorre sottolineare che l'innovazione "aperta" ha il grande merito di movimentare capitali di investimento in modo reattivo e propositivo. Basti pensare ai bandi europei o nazionali che promuovono le attività innovative in cui la tutela della Proprietà Intellettuale è un requisito d'accesso ai finanziamenti.

Oltre ai fondi pubblici, i cui più tipici fruitori sono i centri di ricerca, gli istituti universitari e le start-up, esistono anche contesti di crescita di notevole rilevanza in ambito privato, basti guardare al mondo degli acceleratori e incubatori, che rappresentano, a varia partecipazione, un grande trampolino di lancio per le giovani società ad alto contenuto innovativo. Questi soggetti sono spesso i primi investitori e si prefiggono l'obiettivo di ottimizzare il funzionamento e il rendimento delle start-up che finanziano e promuovono, garantendo, spesso, il primo contatto con il mondo del finanziamento che accompagna la start-up all'esterno.

In queste fasi, che di norma subentrano successivamente alla tutela della tecnologia di base, anche il brand può rivestire una certa importanza nelle dinamiche di mercato a cui si aspira partecipare. Emerge quindi un dato sul quale riflettere, se è vero che si assiste al verificarsi del paradosso secondo cui la Proprietà Intellettuale ha una dimensione sempre meno protettiva e sempre più volta alla condivisione, all'apertura verso altri soggetti, gli strumenti di tutela verranno incentrati maggiormente su alcuni elementi: la titolarità delle privative, le condizioni di sfruttamento economico e di trasferimento, nonché gli aspetti territoriali e temporali degli accordi, perché se è vero che la Proprietà Intellettuale non smette di essere una tutela, è altrettanto vero che questa, contemporaneamente, assume una veste più ampia assolvendo alla funzione di veicolo di conoscenza, di condivisione e trasferimento tecnologico, comportando, per forza di cose, l'adattamento alla nuova economia OPEN.

I numeri dell'innovazione in Italia e Europa

Per concludere, fornendo un riscontro dimensionale in termini numerici, l'innovazione europea avanza, oggi al 6% in più rispetto al 2010 [3], seppur con forti disparità fra gli Stati membri, ma fatica a raggiungere gli Stati Uniti ed i Paesi asiatici, capofila la Corea del Sud.

Questo è quanto si ricava dalla recente pubblicazione dello European Innovation Scoreboard 2018, della Commissione Europea (EIS2018). In particolare, l'Italia rimane in una situazione di stallo tra i paesi c.d. "Innovatori moderati".

La buona notizia per l'Italia è che registra la maggiore performance della media europea riguardo agli "asset intellettuali" (soprattutto però per il design non tecnologico, molto invece molto più bassi i dati dei brevetti tecnologici e degli aspetti di innovazione delle PMI).

La nota più dolente, invece, riguarda la performance molto più bassa della media europea in relazione al contesto finanziario di supporto, con una spesa pubblica in Ricerca e Sviluppo ed una presenza di venture capital pari alla metà della media europea. Di nuovo, l'ancora che non fa spiccare il volo all'Italia è rappresentata dalla mancanza di politiche di apertura in merito ai finanziamenti e fondi dedicati alla ricerca.

Altri storici problemi sono quelli nel settore delle Risorse Umane, con un peggioramento rispetto al 2010 nei confronti della media europea soprattutto dovuto al numero di nuovi titolari di dottorato e alla percentuale di popolazione giovane (25-34 anni) con istruzione terziaria. Le stime della Commissione attestano un dato equivalente a circa il 20% della media europea, meglio solo della Romania, nonostante il livello di crescita sia stato, negli ultimi tre anni, superiore a molti Paesi europei.

Secondo il report trimestrale del Ministero dello Sviluppo Economico [4] , il numero di start-up innovative iscritte alla sezione speciale del Registro delle Imprese ai sensi del decreto legge n. 179/2012 è pari a 9.647, in aumento di 251 unità (+2,7%) rispetto a fine giugno 2018.

In un'ottica di OPEN Innovation si rileva che il 71,8% delle start-up innovative fornisce servizi alle imprese, questi i settori prevalenti: (i) produzione di software e consulenza informatica pari al 33,5%, (ii) attività di R&S, 12,9%, (iii) attività dei servizi d'informazione, 9,2% (iv), manifatturiero 18,7% di cui fabbricazione di macchinari per il 3,4%, fabbricazione di computer e prodotti elettronici e ottici, 3,1%, fabbricazione di apparecchiature elettriche, 1,7%, (v) il restante 4% opera nel commercio.

Dal punto di vista geografico, se analizziamo la tabella del Ministero, qui di seguito riportata, rileviamo che le regioni a più alto numero di start-up non sempre combaciano con le più produttive del Paese, ovvero Lombardia, Emilia Romagna, Veneto e Piemonte. Infatti, il Lazio conquista il secondo posto in classifica dopo la Lombardia, mentre Campania e Sicilia si attestano al quinto e sesto posto prima del Piemonte.

report trimestrale innovazione_ministero_sviluppo_economico

Seppure l'Italia nel quadro europeo sembri faticare a raggiungere livelli di innovazione concorrenziali, le statistiche che abbiamo appena esaminato fanno emergere un dato importante, le start-up e l'innovazione aperta possono essere un importante motore di sviluppo anche per i territori storicamente in maggior sofferenza occupazionale e produttiva. Incrociando i dati della Commissione Europea e del Ministero dello Sviluppo Economico, ricaviamo che l'Italia ha il potenziale per crescere nell'Innovazione, come d'altronde ha sempre dimostrato nella storia. Ciò di cui si sente maggiormente la mancanza non è la sensibilità sulla cultura dell'Innovazione nel mondo universitario, della ricerca o nel settore privato, che stimolano di frequente i dibattiti sul tema, ma sono le politiche pubbliche sui finanziamenti e gli incentivi alla ricerca e alla tutela dei risultati ottenuti che non sono sufficienti al Paese e che dovrebbero diventare una priorità nelle voci di bilancio.