Come tutelare le produzioni agroalimentari italiane contro la contraffazione e il fenomeno dell'Italian sounding, anche in campo vitivinicolo?

Negli ultimi decenni, la pressione dei consumatori nei confronti della sicurezza alimentare di tipo qualitativo ha determinato la nascita di nuovi strumenti di tutela nel mercato agro-alimentare, compreso quello vitivinicolo. Molte imprese hanno fatto ricorso alle DOP e IGP ma anche ai marchi collettivi, ottenendo un'efficace tutela del Made in Italy agroalimentare nella lotta contro il serio e crescente fenomeno dell'Italian Sounding e del wine kit.

A seguito dell'entrata in vigore del D.lgs. n. 15/2019, in ottemperanza a quanto già previsto a livello europeo, sono state introdotte alcune modifiche alla precedente disciplina del marchio collettivo ed è stata riconosciuta autonomia al nuovo istituto del marchio di certificazione.

Marchi collettivi e marchi di certificazione a confronto

Il marchio collettivo è un segno distintivo caratterizzato dalla funzione principale di indicare che i prodotti o i servizi tutelati provengono da membri di un'associazione, distinguendoli da quelli di altre imprese non appartenenti a tale associazione. Possono richiedere la registrazione di un marchio collettivo tutte le persone giuridiche di diritto pubblico e le associazioni di categoria di fabbricanti, prestatori di servizi o commercianti (quali consorzi, fondazioni di partecipazione). Sono invece escluse le società di capitali.

Con l'introduzione dell'art. 11 bis del Codice della Proprietà Industriale, il marchio di certificazione ha ottenuto un autonomo riconoscimento.

Tale privativa ha la funzione di comunicare al pubblico, "certificando" con l'apposizione del marchio, il materiale, il procedimento di fabbricazione dei prodotti o la prestazione di un servizio, la qualità, la precisione o altre caratteristiche. Possono essere titolari di un marchio di certificazione persone fisiche, giuridiche, istituzioni, autorità e organismi che abbiano tra le loro attività quella di certificazione e che non siano coinvolti, nemmeno indirettamente, con la fornitura di prodotti e servizi del tipo certificato.

Sia i marchi collettivi che i marchi di certificazione devono essere depositati contestualmente (salva la possibilità di integrazione nei 2 mesi successivi) a un regolamento d'uso, che tra le altre cose, deve citare i soggetti legittimati all'uso del marchio, i prodotti e i servizi che il marchio garantisce o "certifica", le condizioni d'uso del marchio, le modalità di verifica e di sorveglianza nonché le sanzioni in caso di inottemperanza da parte del titolare. Quanto al marchio di certificazione, il disciplinare dovrà altresì includere la dichiarazione del titolare di neutralità rispetto alla fornitura dei prodotti/servizi certificati.

Da quanto appena detto, possiamo dedurre che, nel nostro ordinamento, la distinzione tra i due istituti è sostanzialmente legata al diverso oggetto di protezione nonchè alla diversa legittimazione alla registrazione, che per i marchi collettivi, a seguito della riforma, esclude le persone fisiche e le società di capitali, ammettendo soltanto le persone giuridiche di diritto pubblico e le associazioni di categoria. Per i marchi di certificazione c'è invece un'esplicita esclusione per i titolari che svolgono un'attività che comporta la fornitura di prodotti o servizi del tipo certificato.

Marchi collettivi e di certificazione geografici

In deroga al principio generale secondo cui i marchi d'impresa non possono consistere in segni o indicazioni che nel commercio possono servire per designare la provenienza geografica dei prodotti o servizi, sia i marchi collettivi che di certificazione prevedono un esplicito riferimento alla provenienza geografica. È plausibile pensare che tale eccezione sia legata al fatto che il Legislatore italiano abbia voluto fornire alle imprese italiane un ulteriore strumento per tutelare al meglio e valorizzare il proprio territorio.

Tale deroga è però soggetta a due limitazioni, ossia:

  • possibile rifiuto della registrazione da parte dell'UIBM nel caso in cui il marchio richiesto possa creare situazioni di ingiustificato privilegio o comunque recare pregiudizio allo sviluppo di altre analoghe iniziative nella regione;
  • la registrazione del marchio costituito da nome geografico non autorizza il titolare a vietare a terzi l'uso nel commercio del nome stesso, purché quest'uso sia conforme ai principi della correttezza professionale.

Obbligo di conversione dei marchi collettivi pre-riforma in nuovi marchi collettivi o di certificazione

L'art. 33 del D.lgs. 15/2019 ha permesso ai titolari di marchi collettivi nazionali registrati secondo il regime previgente di richiedere la conversione del proprio segno in marchio collettivo secondo la nuova normativa o in marchio di certificazione. La mancata conversione entro il termine inizialmente fissato al 23 marzo 2020, e poi prorogato al 31 dicembre 2020, comporta la decadenza del marchio a decorrere dalla data di scadenza del termine precedentemente previsto.

La conversione deve avvenire, tramite il deposito di una nuova domanda di registrazione di marchio collettivo o di certificazione, avendo cura di indicare la dicitura "Conversione in marchio collettivo (o di certificazione)". La domanda deve essere corredata dal testo del regolamento d'uso del segno, aggiornato in coerenza alla nuova disciplina in vigore e alla scelta di conversione formulata dal richiedente.

Alle domande si applica lo stesso regime giuridico previsto nel Codice della Proprietà Industriale in materia di domande di marchi di certificazione o marchi collettivi.

I dieci anni di tutela del marchio decorreranno dalla data di deposito della domanda di conversione, ferma restando la continuità con il marchio collettivo registrato ai sensi della normativa previgente.

Per la conversione, pertanto, il titolare del marchio dovrà scegliere, anche per il rinnovo, le modalità "PRIMO DEPOSITO", seguendo la procedura informatica disponibile sul portale (https://servizionline.uibm.gov.it) ovvero utilizzare la modulistica predisposta per il deposito cartaceo e postale sul sito internet dell'UIBM.

Prima di valutare la conversione in marchi collettivi di nuovo tipo o in marchi di certificazione, è opportuno effettuare un'attenta analisi dei titolari, delle attività da essi svolte e delle loro competenze ed eventuali qualificazioni.

Ad oggi, da un esame della banca dati dell'UIBM, si evince un considerevole numero di richieste di conversione di marchi collettivi in marchi di certificazione. Molti di questi sono ancora in attesa di attestato. Quanto invece ai nuovi marchi di certificazione, il numero di registrazioni ottenute è ancora esiguo, ma ci sono varie domande di registrazione ancora in esame.

Agevolazioni per la promozione dei marchi collettivi e di certificazione all'estero

Con il Decreto 15 gennaio 2020, Il Ministero dello Sviluppo Economico ha introdotto un'agevolazione diretta a sostenere la promozione all'estero dei marchi collettivi e di certificazione volontari italiani.

Possono beneficiare dell'agevolazione le associazioni rappresentative delle categorie produttive, che abbiano depositato una domanda di registrazione di marchio collettivo o di certificazione oppure una domanda di conversione del marchio collettivo precedentemente registrato.

Sono finanziabili le seguenti iniziative:

  • partecipazione a fiere e saloni internazionali;
  • eventi collaterali alle manifestazioni fieristiche internazionali;
  • incontri bilaterali con associazioni estere;
  • seminari in Italia con operatori esteri e all'estero;
  • azioni di comunicazione sul mercato estero, anche tramite GDO e canali on-line.
L'importo massimo dell'agevolazione per ciascun soggetto è pari al 70% delle spese sostenute e non può superare in ogni caso 70.000 euro per anno.