10 maggio 2023 Technofashion Luca Mariani

Nel quadro giuridico comunitario esistono alcuni marchi che possono accedere ad un livello di tutela superiore a quello dei loro omologhi. Parliamo dei segni che godono della cosiddetta “notorietà”, attributo derivante dal fatto che sono stati sottoposti ad intenso processo di diffusione sul mercato e che hanno raggiunto un elevato grado di riconoscimento nel pubblico dei consumatori.

Questo ceto privilegiato di marchi conferisce al titolare la facoltà di bloccare la registrazione di segni successivi identici o simili a prescindere dai prodotti o servizi per i quali vengono depositati, ovvero anche se quest’ultimi si posizionano in segmenti di mercato diversi. Non a caso questa protezione rinforzata viene anche chiamata “tutela ultra-merceologica".

Tale trattamento nasce dalla necessità di salvaguardare la funzione pubblicitaria e la notorietà dei marchi, che le aziende titolari hanno alimentato a dovere con tensione creativa, zelo qualitativo, continuità nel tempo e, soprattutto, ingenti investimenti economici in campagne promozionali.

Per cui i marchi notori – tra i quali si contano, ad esempio, BOSS, LANVIN, CALVIN KLEIN, ROLEX, APPLE, et alia – veicolano una certa immagine o una promessa di qualità, che possono essere sfruttate indebitamente da società terze che adottano marchi simili, anche per categorie merceologiche diverse.

PUMA contro PUMA: una sfida avvincente

Recentemente il Tribunale dell’Unione Europea si è pronunciata in una disputa che vede contrapposte la nota società tedesca Puma SE, maison di abbigliamento sportivo, e la meno nota società coreana, DN Solutions Ltd., produttrice di utensili e macchine industriali, e che si trascina da almeno un decennio.

La genesi della questione è stato il tentativo dell’azienda coreana di registrare il marchio “PUMA” per alcuni macchinari ed utensili industriali afferenti alla Classe 7, (quali “torni; torni a controllo numerico; centri di lavorazione a macchina; centri di tornitura; macchine a scarica elettrica”) nel lontano 2012.

L’impresa teutonica, a suo tempo, presentò prontamente opposizione contro la domanda di registrazione del segno avversario, facendo valere la notorietà del proprio marchio anteriore e la conseguente tutela ultra-merceologica. Puma SE tentava così di vietare a DN Solutions Ltd. l’adozione di un marchio sostanzialmente identico al suo, anche se riferito a prodotti alquanto distanti dal proprio ambito operativo.

La società tedesca sosteneva che l’uso della parola “PUMA” per macchinari industriali da parte dell’impresa coreana danneggiava la notorietà del proprio marchio, dal momento che creava un’associazione del segno “PUMA” a prodotti totalmente diversi e, di conseguenza, ne diluiva la capacità distintiva. Al contempo, la società coreana avrebbe tratto un indebito vantaggio dalla notorietà del marchio “PUMA”, sfruttando indirettamente gli investimenti in attività promozionali elargiti dall’azienda tedesca.

Nella sua decisione dello scorso dicembre, il Tribunale dell’Unione Europea ha avvalorato la tesi della somiglianza tra i marchi posti a raffronto (che appaiono pressoché identici a parte lievi differenze estetiche) e l’eccezionale livello di riconoscimento del marchio “PUMA” per articoli di abbigliamento e calzature sportive. Tuttavia, ciò non è stato sufficiente per convalidare il livello di tutela rafforzata del marchio notorietà perseguita da Puma SE.

La differenza nel pubblico rilevante

Il Giudice ha confermato l’assunto per cui i marchi in conflitto sono destinati a due gruppi di consumatori distinti e non sovrapponibili, per cui è da escludere un’intersezione tra i fruitori dell’uno e quelli dell’altro marchio. Da una parte, dunque, c’è la platea interessata dai prodotti di abbigliamento sportivo contrassegnati dal marchio notorio “PUMA”, che è composta dal grande pubblico, presumibilmente privo di competenze specifiche; dall’altra, invece, c’è l’insieme professionisti del settore industriale che per ragioni di lavoro fruiscono dei macchinari ad elevato contenuto tecnico, ugualmente contrassegnati dal marchio “PUMA”, ma prodotti dell’impresa coreana.

In proposito, la Corte ha respinto l’argomento di Puma SE secondo il quale questa suddivisione dicotomica della popolazione risulterebbe artificiosa, dal momento che anche il pubblico dei professionisti è inevitabilmente esposto ai flussi informativi provenienti dai mezzi di comunicazione generalisti e, di conseguenza, soggiace agli effetti della notorietà raggiunta dal marchio “PUMA” applicato su prodotti sportivi.

La società teutonica aggiungeva che gli ambiti operativi delle due imprese sono soggetti a reciproca contaminazione. Da un lato, non si può escludere che un’impresa attiva nel settore dell’abbigliamento possa estendere la propria gamma includendo articoli destinati all’impiego da parte di operatori professionali. Dall’altro, non si può scartare la possibilità che un'azienda specializzata in prodotti di impronta tecnica, fornisca divise per dipendenti o commercializzi indumenti brandizzati per il pubblico. Queste eventuali invasioni di campo porterebbero ad una confluenza nella platea dei consumatori interessati da prodotti “PUMA”.

Il Tribunale, in risposta, ha insistito sul fatto che i prodotti contrassegnati dai marchi in oggetto sono a tal punto distanti che non esiste alcun pericolo che il pubblico stabilisca un nesso di collegamento tra i capi sportivi contrassegnati dal marchio tedesco rinomato “PUMA” e l’attrezzatura tecnica contrassegnata dal marchio coreano “PUMA”. Tanto più che, nella sua opinione, risulta altamente improbabile anche solo la possibilità di una collaborazione tra una società attiva nel settore della moda con una che produce articoli elettronici per un mercato specifico e limitato.

Il Giudice sottolinea altresì come Puma SE non sia riuscita a dimostrare in modo sufficientemente chiaro e circostanziato in che modo l’uso del marchio “PUMA” da parte della coreana possa evocare il suo marchio “PUMA”. In proposito, il Tribunale osserva che, per questo specifico caso, il livello probatorio deve essere più elevato, in quanto la parola contesa possiede un senso compiuto contemplato da dizionari ed enciclopedie, cioè quello di “puma” quale specie di felino appartenente regno animale. Dunque, la semiotica ci dice che tale termine esprime un altro significato prima ancora di identificarsi con il marchio notorio “PUMA”.

Una tutela rafforzata, ma non assoluta

La decisione in questione potrebbe apparire incongruente rispetto al tema della tutela ultra-merceologica dei marchi notori come previsto dalla normativa dell’Unione Europea. Da una parte il Giudice riconosce la notorietà del marchio, che ha come obiettivo la protezione del segno distintivo per prodotti diversi da quelli tipici, dall’altra nega il riconoscimento di tale protezione per diversità dei prodotti oggetto di comparazione.

Tuttavia, due specificità del caso discusso appaiono dirimenti: cioè, il fatto che i settori merceologici delle due imprese coinvolte sono totalmente divergenti e quello che "PUMA" nel lessico corrente esprime un concetto preciso. Questi due fattori impediscono ai consumatori di stabilire un collegamento con il segno noto.

Con questa pronuncia si conferma l’approccio rigido delle autorità europee nell’assegnazione di una protezione rafforzata ai marchi notori, che non riesce a svincolarsi totalmente da valutazioni di carattere merceologico. Sarà interessante vedere se Puma SE deciderà di impugnare anche questa pronuncia, avanti la Corte di Giustizia, e su quali basi.

 

Articolo di Luca Mariani per Technofashion