Può il nome di un santo diventare un marchio per vini? E il nome del narco-trafficante Pablo Escobar?

Nel Registro dei marchi EU ci sono numerosi marchi costituiti da nomi di santi registrati per la classe 33 delle bevande alcoliche. Non è un caso, se si pensa alla lunga tradizione nella produzione di vini e birre da parte di abbazie e monasteri e al ruolo che questi ultimi hanno avuto nello sviluppo e nella diffusione della coltivazione della vite e delle tecniche di vinificazioni, birrificazione e distillazione.

Proprio queste circostanze storiche sono state decisive per la Commissione dei Ricorsi dell’EUIPO, l’Ufficio della EU che gestisce i marchi EU, per confermare la piena registrabilità del marchio EU SAINT CONSTANTIN BRÂNCOVEANU (EUTM N. 18524408) per la classe 33. In realtà, l’Ufficio marchi della EU aveva originariamente rifiutato il marchio, ritenendolo in contrasto con quanto previsto dall’articolo 7(1)(f) del Regolamento EU N. 2017/1001 sui marchi EU che stabilisce che non possano essere registrati “i marchi contrari all’ordine pubblico e al buon costume”.

L’Ufficio aveva a questo proposito osservato che COSTANTINT BRANCOVEANU è il nome di un importante personaggio della storia rumena e della Chiesa Ortodossa. Secondo l’Ufficio il marchio nel suo complesso sarebbe stato facilmente percepito dal consumatore rumeno nonché dai numerosi cittadini EU fedeli della Chiesa Ortodossa, come un riferimento a tale figura storica e religiosa. Il collegamento tra tale personaggio e le bevande alcoliche poteva determinare una banalizzazione del santo richiamato e offendere la sensibilità di una parte del pubblico della EU, così configurando una violazione del buon costume.
In sede di appello, la Commissione dei Ricorsi ha tuttavia ribaltato la conclusione a cui era pervenuto l’Ufficio, escludendo che l’uso del nome di un santo come marchio per alcolici abbia un carattere offensivo. Nella sua decisione la Commissione ha tenuto conto che, nel caso di specie, il marchio era già protetto in Romania, e che la società titolare del marchio era stata insignita di un premio da parte del Patriarca della Chiesa Ortodossa. Più di tutto, in particolare, la Commissione ha messo in luce l’esistenza di specifiche circostanze storiche e culturali sintomatiche del fatto che il pubblico EU non percepisce come offensiva o degradante l’associazione tra una figura religiosa e delle bevande alcoliche. A questo riguardo la Commissione ha rilevato che la Chiesa ortodossa non proibisce il consumo di alcolici; al contrario il vino è presente nell’ambito delle varie liturgie cristiane con un valore fortemente simbolico. Ha inoltre osservato che numerosi passi della Bibbia fanno riferimento al vino come elemento di celebrazione. Ha oltretutto posto l’attenzione sul ruolo storicamente decisivo avuto dai monasteri nella produzione di vino, birra e distillati; né ha tralasciato di riscontrare come tutt’oggi molte cantine fondate da monaci e appartenenti a monasteri e abbazie siano importanti produttori di vini. Ha infine rilevato che in molti Paesi membri della EU è consuetudine usare segni che appartengono all’ambito religioso nel settore delle bevande alcoliche e, in particolare, dei vini. Alla luce dello specifico contesto illustrato, la Commissione ha ammesso che una parte dei consumatori della EU avrebbero riconosciuto nel marchio SAINT CONSTANTIN BRANCOVEAU un riferimento ad una rilevante figura storico-religiosa.

Tuttavia, ha ritenuto che vi siano molti indizi che attestano che l’uso come marchio di tale nome in relazione a bevande alcoliche non possa essere percepito dal pubblico di rilievo come moralmente non accettabile e contrario al buon costume.

Marchi contrari al concetto di “buon costume

Il Regolamento sul marchio EU non definisce la nozione di “buon costume”. Quest’ultima, come precisato dalla Corte di Giustizia Europea, va tuttavia interpretata come l’insieme di valori e norme morali a cui, in un determinato momento storico, la società complessivamente aderisce. Determinare quali siano questi valori e queste norme è certo un percorso complesso, essendo questi ultimi oggetto di un continuo sviluppo nel tempo e di variazioni nello spazio, in particolare tenuto conto delle diversità linguistiche, storiche, sociali e culturali esistenti tra i vari paesi membri della EU.

Per questo motivo la giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea ha sottolineato la necessità, nell’identificazione di tali valori e norme, di considerare qualsiasi circostanza del caso e il concreto contesto sociale, che permetta di determinare quale sia la percezione che il pubblico ha di un segno.

In particolare, per identificare cosa una società percepisca come moralmente accettabile, l’esaminatore è chiamato a considerare indizi di fatto e fonti affidabili e indipendenti così che la sua valutazione sia quanto più possibile oggettiva. Come nel caso precedente, tali circostanze possono essere costituite da uno specifico panorama storico e culturale, nonché dalle consuetudini del consumatore.

Elementi significativi potrebbero anche essere tratti da testi legislativi, da prassi amministrative, dall’opinione pubblica o dal modo in cui il pubblico di riferimento ha reagito in passato a segni coincidenti o simili. Spesso nella ricostruzione della percezione del pubblico è stato rilevante il significato del marchio così come riportato nei dizionari. In particolare, la circostanza che un termine sia qualificato in un vocabolario come “volgare” è stata ritenuta un indizio concreto del fatto che il pubblico di riferimento percepirà la parola come offensiva, oscena e degradante.

È stato questo il caso dei marchi EU “FICKEN” N. 18796483 e “NELEMAN JUST FUCKING GOOD WINE” N. 18494445 rispettivamente depositati per “bevande alcoliche” e “vini”. L’Ufficio aveva rilevato che nei dizionari, rispettivamente tedesco e inglese, le parole “FICKEN” e “FUCKING” venivano qualificate come “volgari”; su questa base ha ritenuto che i marchi sarebbero stati percepiti come offensivi e contrari ai principi morali accettati.

Rispetto al termine “FUCKING” è interessante osservare come la Commissione dei Ricorsi dell’EUIPO ha riconosciuto che negli anni più recenti sia divenuto frequente l’uso di questa parola, sia nei media sia nel linguaggio informale, con la funzione di rafforzare un concetto.

Tuttavia, gli esaminatori hanno ritenuto che questa modalità di uso non possa dirsi ancora così diffusa da avere fatto venire meno la qualificazione del termine come “volgare”.

Su questo punto è importante ricordare che, in relazione ai marchi EU, la contrarietà al buon costume potrebbe dipendere dal carattere offensivo che un termine ha solo per una parte dei consumatori dell’Unione. L’EUIPO ha ad esempio respinto le domande di marchio EU HORA n. 18482142 depositato per bevande non alcoliche, e CURVE LAB n. 18795118 che rivendicava giochi e mobili per bambini, in quanto i termini “hora” e “curve”, come riportato nel dizionario rispettivamente svedese e rumeno, significano “puttana”. Malgrado tali parole abbiano tutt’altro significato anche all’interno della stessa EU (ad esempio in Spagna e Portoghese “hora” significa “ora”), questo non è stato considerato rilevante, restando i marchi per una parte del pubblico europeo offensivi e degradanti.
Sul tema è in ogni caso curioso segnalare che l’EUIPO ha registrato il marchio DE PUTA MADRE senza sollevare alcun rilievo. Questo è dipeso probabilmente dalla circostanza che in Spagna l’espressione è usata quale sinonimo di eccellente, ma possiamo dubitare che il consumatore, ad esempio di lingua italiana, attribuisca all’espressione questa positiva connotazione.

Certamente determinare cosa sarà percepito dal consumatore come offensivo e contrario al buon costume, per quanto debba fondarsi su elementi fattuali, non potrà non risentirà della soggettività degli esaminatori.

Marchi contrari all’ordine pubblico

Meno esposto a questo rischio appare la valutazione della contrarietà all’ordine pubblico. Anche in questo caso manca una definizione normativa di “ordine pubblico”, ma con l’espressione comunemente si fa riferimento all’insieme dei valori e dei principi fondamentali riconosciuti o ricavabili dal complesso della normativa dell’Unione Europea. Si tratta ad esempio dei valori di uguaglianza, libertà, dignità umana e solidarietà sanciti dalla Carta Europea dei diritti fondamentali; o il valore della salute umana, la cui protezione è un obiettivo previsto dal Trattato dell’Unione Europea.

In applicazione di quanto sopra, l’EUIPO, con una decisione confermata dalla Corte di Giustizia Europea, ha respinto la registrazione del marchio PABLO ESCOBAR chiesta, tra gli altri, per le bevande alcoliche.

Sebbene Pablo Escobar non sia mai stato formalmente condannato per dei reati, è stato messo in luce che il consumatore della EU, in particolare il pubblico spagnolo, percepisce tale figura come leader del Cartello di Medellìn responsabile di crimini quali traffico di droga, assassini, violenze, estorsioni e rapimenti.

L’Ufficio ha sottolineato come queste attività criminose violino gravemente la libertà, la dignità umana, l’uguaglianza, la solidarietà nonché il diritto alla vita e all’integrità fisica. Sulla base di queste considerazioni, la Corte di Giustizia ha condiviso le conclusioni degli esaminatori dell’EUIPO e confermato come la registrazione del marchio avrebbe banalizzato sia le sofferenze patite dalle vittime dell’azioni del Cartello di Medellin, sia la gravità degli illeciti commessi, oltre che mitizzare questi ultimi.

Allo stesso modo è stato cancellato dall’EUIPO, sulla base di un’azione di invalidazione promossa dalla Repubblica Italiana, il marchio EU LA MAFIA SE SIENTA ALLA MESA n. 5510921. Aderendo alle argomentazioni dello Stato italiano, l’EUIPO e successivamente la Corte di Giustizia Europea hanno riconosciuto che il marchio era contrario all’ordine pubblico. Il riferimento alla Mafia determinava un collegamento alle attività illecite dell’organizzazione, attività che per la loro gravità sono in netto contrasto con i valori sui quali l’Unione Europea è fondata in particolare il rispetto della dignità umana e la libertà. È stato inoltre osservato che la raffigurazione di una rosa e il riferimento alla convivialità derivante dalla espressione “se sienta a la mesa” erano in grado di trasmettere un’immagine positiva della Mafia, cosi banalizzando la gravità e la pericolosità connessa a tale organizzazione criminale.

Sempre in violazione all’ordine pubblico, l’EUIPO ha respinto la domanda di marchio EU PEANTUTS EXTASY N. 18565187 depositato per prodotti alimentari. Malgrado i vari significati attribuibili alla parola EXTASY, l’Ufficio ha ritenuto che il pubblico di riferimento potesse percepire il termine come riferito a una tipologia di droga avente gravissimi effetti sulla salute umana. In questo modo, secondo l’Ufficio, il marchio era in contrasto non solo con l’obiettivo di proteggere la salute umana, ma anche con le politiche poste in essere dall’Unione per la riduzione e il controllo dell’uso di stupefacenti.
Un marchio potrebbe essere respinto anche perchè contrario sia all’ordine pubblico che al buon costume. È il caso della domanda di marchio COVIDIDIOT n. 18288813, depositata nel corso della prima ondata della pandemia di COVID per, tra gli altri, app e giochi elettronici. La Commissione di Ricorso dell’EUIPO, chiamata ad esaminare il caso, aveva riconosciuto che il termine era diffusamente usato nei media e nei social per identificare persone che rifiutavano di seguire le regole predisposte per contenere la diffusione del virus. La Commissione aveva trovato conferma di questo significato in numerosi dizionari che avevano incluso il neologismo. Secondo l’Ufficio il riconoscibile riferimento al COVID, il gioco di parole presente nel segno COVIDIOT, la presenza nel marchio del cappello di un giullare, nonché la prospettiva di usare il segno in relazione a giochi, potevano creare l’impressione che la pandemia fosse qualcosa di leggero e divertente. Tutto questo avrebbe avuto l’effetto di ridicolizzare sia un evento tragico dalle pesanti conseguenze sulla vita di milioni di persone sia gli sforzi intrapresi per arginare la malattia rendendo il marchio offensivo e in contrasto con il valore della dignità umana.

Raccomandazioni

Scegliere un marchio formato da termini “coloriti”, scioccanti e di impatto, o che contenga riferimenti a personaggi o eventi che, nel bene o nel male, siano popolari e abbiano una forte risonanza sul piano mediatico, è certo una tentazione. Si tratta infatti di segni capaci di catturare o imporsi all’attenzione del pubblico. Marchi così costituiti possono tuttavia rappresentare un rischio e compromettere i progetti e gli investimenti dell’azienda. Esiste infatti la concreta possibilità di un loro rifiuto quando, anche se per una parte modesta o minoritaria del pubblico dell’Unione, possano risultare offensivi, degradanti, discriminatori o ancora possano rendere banali o ridicoli eventi tragici o sofferenze o altresì attribuire una connotazione positiva a crimini o comportamenti pericolosi per la salute.

Il consiglio resta quello di effettuare sempre delle preventive verifiche, attraverso la rete e specifiche ricerche, per individuare quali panorami, scenari e significati possano essere associati al marchio prescelto. Questo consentirà di valutare il pericolo di una contestazione, ma anche se vi sia la possibilità, ad esempio attraverso l’adozione di elementi aggiuntivi al segno, per limitare tale rischio e garantire l’ottenimento attraverso la registrazione, di un diritto esclusivo del segno.

 

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