Sempre più spesso sentiamo parlare di tutela del Made in Italy e di lotta all’Italian Sounding, problematica emersa nell’ultimo decennio e che interessa in larga parte, ma non esclusivamente, il settore agroalimentare italiano.

Tra le varie vicende che hanno assunto rilevanza negli ultimi anni, c’è la strenua lotta che il Consorzio del Prosecco ha condotto per preservare l’unicità della DOP Prosecco e per impedire la registrazione come menzione tradizionale di Prosek, nome di un vino croato, in quanto potenzialmente evocativa per il pubblico della privativa facente capo al Consorzio.

Tale vicenda si inserisce nel dibattito che da anni riguarda un fenomeno più ampio che consiste nell’utilizzo di parole, immagini, combinazioni cromatiche che richiamano la bandiera italiana e riferimenti geografici volti a commercializzare prodotti che in realtà non sono Made in Italy.

Dall’Expo 2015 in poi

L’attenzione al fenomeno e ai suoi impatti ha iniziato a crescere in occasione di Expo 2015, quando durante uno degli interventi previsti nel corso della manifestazione è stata segnalata la necessità di istituire un osservatorio permanente sull’Italian Sounding.

Le difficoltà di gestione di tale fenomeno sono di duplice natura: da un lato, assistiamo a un sempre maggiore impatto delle innovazioni tecnologiche, con spostamento di larga parte delle transazioni online e quindi necessità di predisporre adeguate misure di contrasto. Per rispondere a tale bisogno non è sufficiente elaborare adeguati strumenti informatici, quali sistemi di tracciamento delle violazioni, ma anche tempestivamente adeguare il quadro normativo, così che gli operatori possano, ad esempio, ottenere facilmente e velocemente la riassegnazione di nomi a dominio registrati in violazione dei propri diritti, ma anche disciplinare adeguatamente interventi di oscuramento e rimozione di contenuti da parte delle stesse piattaforme su cui i prodotti vengono acquistati, per accorciare i tempi di reazione. Dall’altro lato, occorre tenere presente che se l’uso contraffattivo di un marchio altrui, l’uso di diciture ingannevoli riportate nelle etichette circa la natura, la composizione, la provenienza dei prodotti, la violazione di DOP e IGP concretizzano delle condotte illecite per cui sono previste specifiche sanzioni, l’Italian Sounding di per sé non è un illecito in senso strettamente giuridico. Ciononostante, si tratta di un fenomeno in grado di generare un ingente danno in termini di perdite economiche, pari a oltre 60 miliardi di euro.

Il quadro delineato dall’ICQRF

È di recente pubblicazione il Report 2023 delle attività del Dipartimento dell’Ispettorato centrale della tutela della qualità e repressione frodi dei prodotti agroalimentari (ICQRF), diffuso dal Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste. La relazione è frutto di controlli che interessano per il 90% il settore alimentare, e di questi un terzo concentrato sul settore vitivinicolo.

Stando al report sopra citato, nel 2023 sono state comminate ingiunzioni per un valore superiore a 21 milioni di euro, di cui oltre 14 milioni di euro per prodotti che violavano DOP e IGP.

In crescita sono anche le azioni sul web, con un dominio incontrastato delle violazioni aventi ad oggetto l’Olio di Puglia (circa il 26% dei casi) e una percentuale significativa di violazioni della DOP Prosecco (circa 11% dei casi).

I numeri sono abbastanza significativi e ci danno un’idea dell’ampiezza del fenomeno. Ma quali sono gli strumenti, normativi e non solo, che possono aiutare ad arginarlo?

La “Legge sul Made in Italy”

Dal punto di vista normativo, lo scorso 11 gennaio è entrata in vigore in Italia la legge 27 dicembre 2023 n. 206, altrimenti detta “Legge sul Made in Italy”, che include un ampio pacchetto di misure volte a favorire la valorizzazione, la promozione e la tutela del made in Italy.

Il provvedimento si articola in sei titoli e cinquantanove articoli e include misure di varia natura, da quelle tese a tutelare i marchi di particolare valenza e interesse nazionale in quanto appartenenti a soggetti o imprese storicamente legati al territorio, passando per misure volte a tutelare e valorizzare i beni culturali e i loro marchi, fino all’istituzione di un Fondo per la protezione nel mondo delle indicazioni geografiche italiane agricole, alimentari, del vino e delle bevande spiritose a carico del bilancio del Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste.

Lo stanziamento di due milioni di euro per gli anni 2024 e 2025 a favore del fondo menzionato è solo una delle risorse finanziarie che la nuova legge mette in pista per incentivare la tutela del Made in Italy.

Lo stanziamento in questione potrà essere utilizzato per la registrazione e il rinnovo delle indicazioni geografiche in Paesi terzi, per attività correlate alle opposizioni contro la registrazione, in Paesi terzi, di marchi o altri diritti di proprietà intellettuale richiesti da soggetti diversi dai consorzi di tutela riconosciuti, qualora in contrasto con accordi internazionali di cui l’Italia o l’Unione europea sono parti contraenti, per iniziative e azioni di comunicazione e promozione delle indicazioni geografiche.

Va segnalato che, in esecuzione delle misure introdotte dalla legge, è prevista l’emanazione di regolamenti attuativi fino a centottanta giorni dopo l’entrata in vigore della legge a cui sarà possibile e necessario fare riferimento per le modalità operative.

Il ruolo dell'Unione Europea

Parallelamente all’introduzione di questa nuova normativa, a livello nazionale assistiamo a un rafforzamento della tutela riconosciuta a livello di Unione Europea con l’approvazione di un nuovo regolamento a protezione delle indicazioni geografiche per il vino, le bevande spiritose e i prodotti agricoli.

Innumerevoli sono le misure che vanno a interessare il settore alimentare in generale, e quello vinicolo in particolare, a partire dalla previsione di un procedimento accelerato per l’ottenimento della registrazione delle indicazioni geografiche, affidato esclusivamente alla Commissione Europea, con concessione delle privative entro massimo sei mesi dalla domanda.

Tra le svariate misure, vale la pena segnalare una particolare attenzione alla protezione online, con obbligo per le autorità degli Stati Membri di adottare misure amministrative e giudiziarie per prevenire o fermare l’uso illegale delle indicazioni geografiche, non solo offline, ma anche online e la previsione che i nomi di dominio che utilizzano illegalmente le indicazioni geografiche vengano chiusi o disabilitati tramite blocchi geografici.

Interessante inoltre notare come la battaglia ingaggiata dal Consorzio del Prosecco nei confronti dell’ammissione a protezione a titolo di menzione tradizionale del vino croato Prosek di cui accennato abbia alimentato le pressioni politiche che hanno condotto ad introdurre nel nuovo regolamento il cosiddetto “emendamento anti-prosek”.

L’obiettivo è quello di vietare l’utilizzo come menzione tradizionale di un termine che rappresenta già un’indicazione geografica di un altro Stato membro; si è cercato, quindi, di regolamentare il conflitto mediante l’inasprimento del regime a tutela delle indicazioni geografiche già in essere.

La comunicazione conta

Va detto però che le recenti riforme illustrate rappresentano una soluzione solo parziale del fenomeno dell’Italian Sounding. È naturale che, di pari passo con l’evolversi delle pratiche commerciali e con la diffusione dei prodotti tipici ben oltre i confini europei, vengano elaborate nuove soluzioni “tecniche” per fronteggiare condotte illecite.

Tuttavia, i nuovi strumenti normativi incontrano dei limiti inevitabili, sia perché le misure di nuova introduzione difficilmente potranno andare a invalidare privative già concesse, sia per i margini di discrezionalità delle varie autorità coinvolte, soprattutto al di fuori dello spazio giuridico dell’Unione Europea. Occorre quindi muoversi parallelamente su altri fronti, soprattutto se consideriamo che, come è stato segnalato in premessa, in molti casi il fenomeno dell’Italian Sounding non assume i connotati di un vero e proprio illecito sanzionabile di per sé, ma si atteggia piuttosto come una forma di “marketing aggressivo e sleale”, che rende necessario giocare ad “armi pari” contrastandolo sul piano della comunicazione.

In altre parole, appare opportuno investire in una comunicazione efficace e diffusa che veicoli non solo l’italianità di un determinato prodotto, ma che ne evidenzi le caratteristiche al fine di evitare che il pubblico possa essere tratto facilmente in inganno da un packaging che richiama una vaga origine italiana o da indicazioni ambigue, quando il prodotto interessato è evidentemente diverso nelle sue caratteristiche essenziali dall’originale.

Riagganciandoci al citato caso Prosecco-Prosek, si inserisce nel solco descritto la campagna di comunicazione THIS IS NOT PROSECCO realizzata dal Consorzio del Prosecco tra la fine del 2023 e l’inizio del 2024. La campagna era territorialmente indirizzata a Italia, Regno Unito, Stati Uniti d’America, Germania, Svizzera e Austria ed è consistita in varie iniziative, tra cui la diffusione di spot pubblicitari nelle grandi reti televisive nazionali, nelle emittenti radiofoniche, nei social media.

A ciò si è aggiunta l’affissione di oltre 800 manifesti nella metropolitana di Londra. L’idea di partenza nasceva dalla constatazione che troppo spesso i consumatori non italiani confondono il Prosecco con un banale vino frizzante, addirittura servito alla spina. Tramite una comunicazione molto diretta che associava il claim “THIS IS NOT PROSECCO” a immagini di bevande gassate in lattina o somministrate alla spina, il Consorzio si poneva l’obiettivo di contrastare l’erronea convinzione diffusa tra i consumatori inglesi che le bevande in questione fossero Prosecco, mirando quindi ad orientare le scelte di consumo e ad evitare che venisse replicato un acquisto basato sulla falsa convinzione che la bevanda acquistata fosse in effetti il vino in questione.

Per consumatori consapevoli

Troppo spesso, infatti, dimentichiamo che, al di là del quadro normativo di riferimento, ciò che influenza i consumatori sono le concrete circostanze del mercato; se è vero che è difficile ottenere adeguata tutela in assenza di norme chiare ed efficacemente applicabili, è altrettanto impellente la necessità di investire su una comunicazione che non dia per scontate le caratteristiche dei prodotti e che invece miri a consapevolizzare il pubblico.

La segnalata necessità di agire sotto il profilo della comunicazione si fa ancora più pressante al di fuori dell’Unione Europea, dove presumibilmente il grado di conoscenza delle caratteristiche dei prodotti originali è ancora più basso e ciò rende ancora più facile la vita dei contraffattori.

 

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